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LIBRI DI LUISA VOLUME 5 E 6


 Per avere invece  le rivelazioni del Padre ad Eugenia Ravasio 
dovete scrivere  ad :  "Associazione  Dio è Padre" Casa Pater   cap  135-67100 -  Aquila - . email:    avemaria@armatabianca.org
sito:www.armatabianca.org

vi faccio sapere inoltre che  chi vuole i libri di Luisa Piccarreta in forma cartacea ed in offerta libera può  richiederlo chiamando a questo numero 3881934654(wind)


        IMPORTANTISSIMO

"CREDO CHE GESU' VOGLIA DARE ANCHE IN ALTRI PUNTI DEL MONDO LA STESSA ACQUA MIRACOLOSA DEL DIVINO VOLERE E DELL' INFINITA MISERICORDIA DI GESU' ,PERO' SOLO A QUEI FIGLI DEL DIVINO VOLERE CHE CON FEDE INDEFETTIBILE PORRANNO NEL LUOGO CHE LE INDICHERA' NEL CUORE LA DIVINA VOLONTA' :
1) L'IMMAGINE DELLA MADONNA DEL DIVINO VOLERE DI PORTO EMPEDOCLE ( LA FOTO CHE C'E' NEL MIO BLOG CON LA MADONNINA DI LOURDES ED IL PORTO DI PORTO EMPEDOCLE),

2) IL GESU' MISERICORDIOSO DI VILNUS  CON LA PREGHIERA SOTTO :"GESU' INFINITAMENTE MISERICORDIOSO, CONFIDO E SPERO IN TE,DONAMI LA TUA VOLONTA' IN TUTTI I MIEI ATTI E PRENDITI SEMPRE LA MIA , NELLA DIVINA VOLONTA'. POI SOTTO SCRIVERE IL MIO BLOG:  

 http://acquamiracolosa33.blogspot.it/

 DIETRO IL QUADRO DI GESU' MISERICORDIOSO METTETE  A META'  BUSTO LA MADONNA DI THIALJINA E LUISA PICCARRETA ANCHE A META BUSTO ED IN FORMATO PICCOLO  15 CM PER 15CM I VEGGENTI MARIJA PAVLOVIC  E IVANKA IVANKOVIC ,  SANTA RITA CHE MI HA FATTO CONOSCERE I LIBRI DI LUISA PICCARRETA ,PADRE PIO CHE MI HA CONVERTITO, SAN MICHELE ARC. CHE MI ASSISTE  E MI LIBERA SEMPRE DAL NEMICO, PADRE JOZO  PARROCO DELLA CHIESA  DI MEDJUGORJE  NEL PERIODO DELLE PRIME APPARIZIONI, SAN PADRE  ANNIBALE  MARIA DI FRANCIA DI MESSINA CHE MI  HA FATTO  AVERE I LIBRI  DIFATTI HO LETTO I LIBRI  QUANDO LUI E' STATO FATTO BEATO E LUI  E' STATO  QUELLO CHE  HA CREDUTO IN LUISA E HA PUBLICATO  I SUOI LIBRI  . SOTTO ANCORA  IL MIO BLOG  :     ACQUAMIRACOLOSA33.BLOGSPOT.IT  METTETE LA SCRITTA:" IN QUESTO BLOG TROVERETE TUTTI I LIBRI DI LUISA PICCARRETA LA SANTA DEL DIVINO VOLERE CHE  HA RICEVUTO DA GESU'  LE VERITA' ETERNE SUL DIVINO VOLERE IN CIRCA 40 VOLUMI. ATTRAVERSO QUESTI SCRITTI GESU' DICE A LUISA CHE L'UOMO RITORNERA' ALLO STATO D'ORIGINE PRIMA DEL PECCATO  CIOE' SEMPRE UNITO AL DIVINO VOLERE  VIVRA' COME UN ANGELO SULLA TERRA, LA SUA SANTITA' SARA' SIMILE A QUELLA DI MARIA E OTTERRA' GRAZIE  INFINITE, OGNI COSA CHE VORRA' TUTTO SARA' DATO IN EREDITA'  AI FIGLI DEL DIVINO VOLERE CHE NASCERANNO DAGLI INSEGNAMENTI DI  QUESTI SCRITTI SULLA DIVINA VOLONTA', UNO SOLO DI QUESTI SANTI SARA' PIU' SANTO DI TUTTI I SANTI MESSI INSIEME , SARA' COME UN SOLE CHE ILLUMINA TUTTI  IN TUTTI I TEMPI,GESU' DICE A LUISA DI ENTRARE SEMPRE NELLA SUA UMANITA' E DI UNIRSI ALL'ATTO UNICO DELLA DIVINA VOLONTA', DI PREGARE SEMPRE  :GESU' TI DO LA MIA VOLONTA' TU DONAMI LA TUA  E DESIDERARE SEMPRE CHE SIA GESU'  A FARE  TUTTE LE NOSTRE AZIONI."


3) UNA SCRITTA PER TERRA NEL GIARDINO CON LE PIETRE COLORATE :"DIVINA VOLONTA'" 

4) IL QUADRETTO DELLA SACRA FAMIGLIA DI NAZARET COME L'HO MESSO IO NEL GIARDINO VICINO LA MADONNINA DI LOURDES  PER TERRA , UN PO RIALZATO DALLA PARTE SUPERIORE E DECORATO AI LATI CON PIETRE COLORATE .

5) LA STESSA POESIA (INNO AL DIVINO VOLERE )AFFIANCO ALLA MADONNA DEL DIVINO VOLERE DI PORTO EMPEDOCLE BEN ESPOSTA APPESA A 2 CATENE SOTTO 2 TRONCHETTI D'ALBERO DI ARANCIO O LIMONE A FORMA DI U LARGA CAPOVOLTA .



                   POESIA:                 INNO AL DIVINO VOLERE

"Nel Voler Divin solea alzar ineffabili canti nei monti e valli

L’eco risuonar di rumor di carri

Guerre dei funesti eventi riecheggiar come bombe nei nostri cuor

Alzatevi o eroi combattenti come negli antichi tempi per il Signor,

unitevi nell’Amor e prendete le vostri armi, nella Santità per distruggere l’eterno nemico infernale

il serpente tentator che avanza nel fuoco delle campagne di Armagheddon

ove l’ira di Dio lo farà tremar e lo invaderà il terror per la disfatta che lo coglierà ,

il grido dei bimbi che giocano in festa si ode già nelle piazze per il nostro trionfar"

LA POESIA , I QUADRI DELLA MADONNA DEL DIVINO VOLERE , DELLA SACRA FAMIGLIA DI NAZARET, DI GESU' MISERICORDIOSO DI VILNUS, ED IL QUADRO CON LA MADONNA DI THIALJINA E LUISA PICCARRETA , POTETE PROCURARVELO IN UN NEGOZIO DI STAMPA DIGITALE CHE USANO MATERIALI E TECNICHE STAMPANTI CHE NON SI SCOLORANO SE LE IMMAGINI SACRE SONO ESPOSTI AL SOLE ED ALLA PIOGGIA .



J.M.J.

VOLUME 5

Signore, venite in mio aiuto, legatemi questa volontà ribelle che vuole sempre ricalcitrare contro la santa obbedienza; mi mette in tale ristrettezza, che mentre delle volte pare morta, allora più che mai, come serpe me la sento viva e mi rode dentro. Perciò legatemi con nuove funi, anzi riempitemi della vostra santa ed adorabile Volontà fino a traboccarne fuori, in modo che la mia volontà resti consumata nella vostra; ed allora potrò avere la felicità di non più lottare contro la santa obbedienza. E tu, o santa obbedienza, perdonami se ti muovo sempre guerra e dammi la forza per poterti in tutto placidamente seguire, che delle volte pare che [io] ne abbia tutta la ragione come lottare contro di te, come in questo scrivere sul conto del confessore. Ma via, facciamo silenzio, non facciamo più indugi ed incominciamo a scrivere.
Siccome il mio confessore passato si trovava molto occupato, molto più che nel corso degli anni che lui mi dirigeva, non potendo lui venire ci veniva il confessore presente, ma io non ci ho pensato mai che dovea trovarmi nelle mani di questo, molto più che n’ero contenta di quello, e ci avea tutta la mia fiducia. [Il] quale[1] circa un anno e mezzo prima che mi fosse confessore, stando nel mio solito stato, il benedetto Gesù mi disse di non essere contento che il confessore non si brigava più del mio interno, e del modo come lui concorreva con Nostro Signore sul mio stato, dicendomi:
“Quando ci metto nelle mani del confessore anime vittime, il lavorio del loro interno deve essere continuo, perciò digli: o mi corrisponde, o ti metto nelle mani di qualche altro”.
Ed io: “Signore, che dite? Chi sarà colui così paziente che dovrà prendersi questa croce di venire ogni giorno a sacrificarsi come questo confessore?”
E Gesù: “Darò lume (nominando[2] il confessore presente), e ci verrà”.
Ed io: “Quanto è impossibile che quello si metterà a prendere questa croce!”
E Gesù: “Sì, ci verrà, e poi quando non sentirà a me, ci manderò la mia Madre, e lui che l’ama non le negherà questo favore. Certo che a chi veramente si ama non si rimanda indietro. Però voglio vedere un altro poco che cosa fa questo, e digli tutto ciò che ti ho detto”.
Quando venne il confessore gli narrai tutto, ma poveretto, una nuova occupazione da lui presa lo rendeva impossibilitato ad occuparsi del mio interno; si vedeva proprio che non era la volontà, ma l’impotenza che non poteva occuparsi di me. Quando gli si diceva, s’impe­gnava meglio, e subito ritornava a non brigarsi come prima. Gesù benedetto si lamentava di lui, ed io lo ridicevo al confessore. Un giorno lui stesso mi mandò il pa­dre presente, ed io anche con lui aprii l’anima mia dicendogli tutto ciò che ho detto. Lui accettò di venire ed io restai meravigliata come aveva detto sì, e dicea tra me: “Avea ragione Gesù”, ma subito cessò la meraviglia; non so dire come, durò appena quanto dura un’ombra che subito sfugge. Vi venne appena due o tre giorni e non si vide più, anche come ombra sfuggì, ed io continuavo a starmene nelle mani del confessore passato, adorando le disposizioni di Dio, molto più che io n’ero contenta di quello, che tanti sacrifizi aveva fatto per causa mia. Dopo che passò circa un altro anno, ed io sentendomi un bisogno di coscienza lo dissi al confessore passato, e mi disse: “Ti mando Don Gennaro”, cioè il padre presente, investendosi[3] della mia necessità.
Impensierita su di una tempesta successa tra loro, Gesù ha ripetuto: “Non movete le cose, tutto ho disposto io, e tutto ciò ch’è stato fatto, è stato ben fatto”.
Questa mattina vedevo il confessore tutto umiliato, ed insieme il benedetto Gesù e San Giuseppe, il quale gli ha detto: “Mettiti all’opera ed il Signore è pronto a darti la grazia che vuoi”.
Dopo ciò, vedendo il mio caro Gesù sofferente come nel corso della passione, gli ho detto: “Signore, non sentivate stanchezza nel soffrire tante diverse pene?”
E lui: “No, anzi una sofferenza accendeva più il cuore a soffrire l’altra, questi sono i modi del patire divino; non solo, ma nel patire ed operare [l’anima] non guarda altro che al frutto che da quello riceve. Io nelle mie piaghe e nel mio sangue vedevo le nazioni salvate, il bene che ricevevano le creature, ed il mio cuore anziché provare stanchezza ne sentiva gioia e ardente desiderio di più soffrire. Onde questo è il segno se ciò che si soffre è partecipazione delle mie pene, se unisce patire e gioia di più patire, e se nel suo operare opera per me, se non guarda a ciò che fa, ma alla gloria che dà a Dio ed al frutto che ne riceve”.
Trovandomi fuori di me stessa, vedevo il padre tutto [in] difficoltà in riguardo alla grazia che vuole, e Gesù benedetto un’altra volta con San Giuseppe che gli dicevano: “Se ti metti all’opera tutte le tue difficoltà scompariranno, e se ne cadranno come squame di pesce”.
Se l’amore è santo forma la vita della santificazione, se è perverso la vita della dannazione.
Trovandomi nel solito mio stato, dopo aver molto stentato, per poco ho visto il mio adorabile Gesù fra le mie braccia ed una luce che gli usciva dalla sua fronte, ed in questa luce stavano scritte queste parole: “L’amore è tutto per Dio e per l’uomo”; se cessa l’amore cesserebbe la vita, però due specie d’amore vi sono: l’uno spirituale e divino, l’altro corporale e disordinato, e tra questi amori vi è gran differenza tra loro per l’intensità, molteplicità, diversità. Si può dire quasi la differenza che passa tra il pensare della mente e l’operare delle mani; la mente in brevissimo tempo può pensare a cento cose, dove le mani appena possono compire un’opera sola. Iddio Creatore se crea le creature, il solo amore [glie]le fa creare; se tiene in continua attitudine tutti i suoi attributi verso le creature, è l’amore che a ciò lo spinge, e gli stessi attributi dall’amore ne ricevono la vita.
Lo stesso amore disordinato, come le ricchezze, i piaceri e tante altre cose, non sono queste che formano la vita dell’uomo; ma se [egli] sente amore a queste cose, non solo formano la vita, ma giunge a farne un idolo proprio. Sicché se l’amore è santo forma la vita della santificazione, se è perverso forma la vita della dannazione.
Questa mattina, dopo aver passato giorni amarissimi, il benedetto Gesù è venuto e si tratteneva con me familiarmente, tanto che io credevo di doverlo possedere sempre; ma quando al meglio, come un lampo è scom­parso. Chi può dire la mia pena? Mi sentivo impazzire, molto più che ne ero quasi sicura di non doverlo più perdere. Ora mentre mi struggevo in pene, come un lampo è ritornato, e con voce sonora e seria mi ha detto: “Chi sei tu che pretendi tenermi sempre con te?”
Ed io, pazza come stavo, tutta ardita ho risposto: “Tutto io sono stando con te, mi sento di non essere altro che una volontà uscita dal seno del mio Creatore; e questa volontà fino a tanto che sta unita con te, sente la vita, l’esistenza, la pace, tutto il suo bene. Senza di te me la sento senza vita, distruggere, dispersa, irrequieta, posso dire provo tutti i mali, e per aver vita e per non disperdermi, questa volontà uscita da te cerca il tuo seno, il tuo centro e là vi vuole rimanere per sempre”. Gesù pareva che tutto s’inteneriva, ma di nuovo ha ripetuto:
“Ma chi sei tu?”
Ed io: “Signore, non sono altro che una goccia d’ac­qua, e questa goccia d’acqua fino a tanto che si trova nel tuo mare, le pare d’essere tutto il mare; ma se dal mare non esce si mantiene pulita e chiara, in modo di poter stare a confronto delle altre acque; ma se dal mare se ne esce si infangherà e per la sua piccolezza si disperderà”. Tutto commosso si è inchinato verso di me dandomi un abbraccio, e mi ha detto:
“Figlia mia, chi vuol stare sempre nella mia Volontà conserva in sé la mia stessa Persona, e sebbene può uscire dalla mia Volontà, avendola creata libera di volontà, la mia potenza opera un prodigio somministrandole continuamente la partecipazione della vita divina; ed a questa partecipazione che riceve, sente tale forza ed attiramento d’unione con la Volontà Divina, che anche che lo volesse fare, non lo può fare. E questa è la continua virtù che esce da me verso chi fa sempre la mia Volontà, che ti parlai l’altro giorno”.
Dopo aver passato giorni amarissimi per le continue privazioni del mio adorabile Gesù, questa mattina mi sentivo giunta al colmo dell’afflizione e stanca e sfinita di forze; stavo pensando che davvero non più mi voleva in questo stato, e quasi mi decidevo ad uscirne. Mentre ciò facevo, il mio amabile Gesù si è mosso nel mio interno e si faceva sentire che pregava per me, ed io solo capivo che implorava la potenza, la fortezza e la provvidenza del Padre per me, soggiungendo: “Non vedete o Padre come ha maggior bisogno d’aiuto, che dopo tante grazie si vuol rendere peccatrice uscendo dalla nostra Volontà?”
Chi può dire come mi sentivo spezzare il cuore al sentire queste parole di Gesù? Onde è uscito da dentro il mio interno, ed io dopo essermi assicurata che fosse il benedetto Gesù, ho detto: “Signore, è Volontà vostra che continui a starmi in questo stato di vittima? Ché io non sentendomi nella stessa posizione di prima, mi veggo come se non fosse necessaria la venuta del sacerdote, che se non altro almeno risparmierò il sacrificio al confessore”.
E lui: “Per ora non è Volontà mia che tu esci; riguardo al sacrifizio del sacerdote, gli renderò centuplicata la carità che fa”.
Poi, tutto afflitto ha soggiunto: “Figlia mia, i socialisti hanno combinato tra loro di colpire nel segno la Chiesa, e questo l’hanno fatto in Francia pubblicamente, e nell’Italia più nascosto; e la mia giustizia va trovando vuoti per mettere mano ai castighi”.
Trovandomi fuori di me stessa, vedevo nostro Signore con una verga in mano che toccava le genti, e queste nell’essere toccate si disperdevano e ribellavano, ed il Signore ha detto loro:
“Vi ho toccati per riunirvi intorno a me, ed invece di riunirvi vi ribellate e vi disperdete da me, quindi è necessario che io suoni la tromba”.
E mentre ciò diceva si è messo a suonare la tromba, ed io comprendevo che il Signore manderà qualche castigo, e gli uomini invece di umiliarsi prenderanno occasione d’offenderlo e di allontanarsi, ed il Signore nel vedere ciò farà risuonare la tromba d’altri gravi flagelli.
Avendo passato giorni amarissimi di privazioni e di lacrime, con l’aggiunta di vedermi in atto che il Signore mi sospendesse dallo stato di vittima, come di fatto mi è successo, che per quanto mi sforzavo non mi riusciva di perdere i sensi, anzi sono stata sorpresa da tanti dolori di viscere, che mi rendevano inquieta, senza che mi potessi raccapezzare. Appena un sogno la notte, in cui mi pareva di vedere un angelo che mi portava dentro un giardino in cui vi stavano tutte le piante annerite, ma io non ho dato retta e solo pensavo come Gesù mi aveva discacciata da sé. Onde verso tardi è venuto il confessore, e trovandomi in me stessa mi ha detto che si erano gelate le vigne. Onde sono restata afflittissima al pensare alla povera gente, ed al timore che non mi facesse cadere nel solito mio stato per poter liberamente castigare. Ma però questa mattina il benedetto Gesù è venuto facendomi cadere nel solito mio stato, ed io appena visto gli ho detto: “Ah! Signore, e ieri che facesti? La facesti la bravata, e poi neppure a dirmi niente, che almeno vi avrei pregato di risparmiare in parte il castigo”.
E lui: “Figlia mia, era necessario che ti sospendessi, altrimenti tu mi avresti impedito ed io non potevo essere libero; e poi quante volte non ho fatto io ciò che tu hai voluto? Ah! Figlia mia, è necessario che nel mondo piovano i flagelli, altrimenti per risparmiare i corpi si perderanno le anime”.
Detto ciò è scomparso, ed io mi sono trovata fuori di me stessa, senza il mio dolce Gesù; quindi l’andavo cercando, ed in questo mentre vedevo nella volta dei cieli un sole, diverso del sole che noi vediamo, ed appresso una moltitudine di santi, i quali nel vedere lo stato del mondo, la corruzione e come di Dio se ne fanno beffe, tutti ad una voce gridavano: “Vendetta del tuo onore, della tua gloria, fate uso della giustizia, mentre l’uomo non vuole più riconoscere i diritti del suo Creatore”; però parlavano in latino, comprendevo io che fosse questo il significato. Nel sentire ciò io tremavo, mi sentivo agghiacciare, ed imploravo pietà e misericordia.
Continuando il mio stato amarissimo di privazione, al più si fa vedere taciturno e per brevi istanti. Questa mattina, impegnandosi il confessore a farlo venire, nel perdere i sensi, per poco e quasi per forza si faceva vedere, e voltandosi al confessore gli ha detto in aspetto serio ed afflitto:
“Che cosa vuoi?” Il padre pareva che restasse confuso e non sapeva dire niente, onde io ho detto: “Signore, forse è il fatto della Messa che vuole”.
Ed il Signore gli ha soggiunto: “Disponiti e l’avrai, e poi tu hai la vittima, quanto più ti starai vicino col pensiero e con l’intenzione, tanto più ti sentirai forte e libero da poter fare ciò che vuoi”. Quindi ho detto: “Signore, come non vieni?” E lui ha soggiunto: “Vuoi sentire? Senti”.
Ed in questo mentre, si sentivano tanti gridi di voci da tutte le parti del mondo, che dicevano: “Morte al Papa, distruzione di religione, chiese atterrate, distruzione d’ogni dominio, nessuno deve esistere sopra di noi”; e tante altre voci sataniche, che mi pare inutile il dirle. Onde nostro Signore ha soggiunto:
“Figlia mia, l’uomo quando si dispone al bene, riceve il bene; e se si dispone al male, il male riceve. Tutte queste voci che senti giungono al mio trono, e non una volta, ma reiterate volte; e la mia giustizia quando vede che l’uomo, non solo vuole il male, ma con replicate istanze lo domanda, con giustizia è costretta a concederlo per farlo conoscere il male che volevano; perché allora si conosce veramente il male, quando nello stesso male [ci] si trova. Ecco la causa perché la mia giustizia va trovando vuoti per punire l’uomo. Però non è giunto ancora il tempo della tua sospensione; al più qualche giorno per ora, per fare che la giustizia calcasse un po’ la sua mano sopra l’uomo, non potendo più reggere al peso di tante enormità, e nello stesso tempo far abbassare la fronte dell’uomo, troppo inalberata”.
Maggio 11, 1903   (10)
Trovandomi nel solito mio stato, quando appena ho visto il mio adorabile Gesù che mi ha detto:
“La pace mette a posto tutte le passioni; ma quello che trionfa di tutto, che stabilisce tutto il bene nell’ani­ma e che tutto santifica, è il fare tutto per Dio, cioè operare con [la] retta intenzione di piacere solo a Dio. Il retto operare è quello che dirige, che domina, che rettifica le stesse virtù, fino la stessa ubbidienza; insomma è come un maestro che dirige la musica spirituale dell’ani­ma”.
Detto ciò, come un lampo è scomparso.
Maggio 20, 1903   (11)
Trovandomi nel solito mio stato, mi son trovata fuori di me stessa col benedetto Gesù in braccio, in mezzo a tanta gente, i quali con ferri, spade, coltelli, cercavano chi [di] battere, chi [di] ferire e chi [di] tagliare le membra di Nostro Signore; ma per quanto facevano e si sforzavano, non potevano fare nessun male, anzi gli stessi ferri, per quanto affilati e taglienti, perdevano la loro attività e si rendevano inoperosi. Gesù ed io eravamo sommamente afflitti nel vedere la brutalità di quei cuori disumani, che sebbene vedevano che non potevano far nulla, pure replicavano colpi per riuscire nel loro intento, e che se nessun danno facevano era perché non potevano. Quelli si arrabbiavano perché le loro armi si erano rese inutili, e non potevano effettuare la loro risoluta volontà di far danno a Nostro Signore; e dicevano tra loro: “E perché non possiamo far nulla? Quale ne è la causa? Pare che altre volte abbiamo potuto qualche cosa, ma trovandosi in braccio a questa, non possiamo far nulla. Proviamo se possiamo far danno a questa e togliercela davanti”.
Mentre ciò dicevano, Gesù si è ritirato al mio fianco e ha dato libertà a quelli di fare quello che volevano. Onde prima che quelli mi mettessero le mani ho detto: “Signore, offro la mia vita per la Chiesa e per il trionfo della verità, accettate vi prego il mio sacrifizio”.
E quelli hanno preso una spada e mi troncavano la testa. Gesù benedetto accettava il mio sacrifizio, ma mentre ciò facevano, nell’atto di compiere il sacrifizio mi son trovata in me stessa, con sommo mio dispiacere, mentre credevo d’essere giunta al punto dei miei desideri ed invece sono restata delusa.
Giugno 6, 1903   (12)
Dopo aver passati giorni amari di privazione e di sofferenze, questa mattina mi sono trovata fuori di me stessa col bambino Gesù in braccia, ed io appena visto ho detto: “Ah, caro Gesù, come, mi avete lasciato sola? Almeno insegnatemi come devo comportarmi in questo stato di abbandono e di sofferenze”.
E lui: “Figlia mia, tutto ciò che tu soffri nelle braccia, nelle gambe e nel cuore, offrilo insieme con le sofferenze delle mie membra, con la recita di cinque Gloria Patri, ed offrilo alla divina giustizia per la soddisfazione delle opere, dei passi e dei desideri cattivi dei cuori, che continuamente si commettono dalle creature; unisci poi le sofferenze delle spine e delle spalle [alle mie sofferenze], con la recita di tre Gloria Patri, ed offrilo per la soddisfazione delle tre potenze dell’uomo, tanto disformate[4] da non più riconoscere la mia immagine in loro. E cerca di mantenere la tua volontà sempre unita a me ed in continua attitudine d’amarmi; la tua memoria sia il campanello che continuamente risuona in te e ti ricorda ciò che ho fatto e patito per te e quante grazie ho fatto all’anima tua, per ringraziarmi ed essermi riconoscente, ché la riconoscenza è la chiave che apre i tesori divini; il tuo intelletto non ad altro pensi, si occupi, che di Dio. Se ciò farai ritroverò in te la mia immagine e ne prenderò la soddisfazione che non posso ricevere dalle altre creature. E questo lo farai di continuo, perché se continua è l’offesa, continua dev’essere la soddisfazione”.
Onde io ho soggiunto: “Ah, Signore, come mi son fatta cattiva, fin golosa son diventata!”
E lui: “Figlia mia, non temere, quando un’anima fa tutto per me, tutto ciò che prende, fino gli stessi ristori, io li ricevo come se ristorasse il mio corpo sofferente; e quelli che [glie]li danno, li ritengo come se li dessero a me stesso, tanto che se non li dessero, io ne sentirei pena. Ma per toglierti ogni dubbio, ogniqualvolta ti daranno qualche ristoro e ne sentirai necessità di prenderlo, non solo lo farai per me, ma aggiungerai: ‘Signore, intendo di ristorare il tuo corpo sofferente nel mio”.
Mentre ciò diceva, a poco a poco si è ritirato nel mio interno ed io non più lo vedevo e non più potevo parlargli. Sentivo tal pena che per il dolore mi sarei fatta a pezzi per poterlo di nuovo ritrovare; onde mi son messa a squarciare nella parte dell’interno che[5] si era rinchiuso, e così l’ho trovato e con sommo dolore ho detto: “Ah, Signore, come mi lasci? Non sei tu forse la mia vita, e che senza di te non solo l’anima, ma anche il corpo si sconquassa tutto e non regge alla forza del dolore della tua privazione? Tanto che allora allora mi pare di dover morire, l’unico e solo mio conforto [è] la morte”. Ma mentre ciò dicevo Gesù mi ha benedetto, e di nuovo si è ritirato nel mio interno ed è scomparso, ed io mi son trovata in me stessa.
Giugno 15, 1903   (13)
Trovandomi nel mio solito stato, il mio adorabile Gesù, non so come, lo vedevo dentro il mio occhio. Ond’io mi son meravigliata, ed egli mi ha detto:
“Figlia mia, chi se ne serve dei sensi per offendermi, deforma in sé la mia immagine; perciò il peccato dà la morte all’anima, non perché veramente muoia, ma perché dà la morte a tutto ciò che è divino. Se poi se ne serve dei sensi per glorificarmi, posso dire: ‘Tu sei il mio occhio, il mio udito, la mia bocca, le mie mani ed i miei piedi’; e con questo conserva in sé la mia opera creatrice. E se al glorificarmi aggiunge il patire, il soddisfare, il riparare per altri, conserva in sé la mia opera redentrice; e perfezionando queste mie opere in sé stessa, risorge la mia opera santificatrice, santificando tutto e conservandolo nella propria anima, perché [in] tutto ciò che ho fatto nell’opera creatrice, redentrice e san­tificatrice, ho trasfuso nell’anima una partecipazione dello stesso mio operare. Ma il tutto sta se l’anima corrisponde all’opera mia”.
Giugno 16, 1903   (14)
Continuando il mio solito stato, mi son trovata fuori di me stessa, e vedevo il bambino Gesù che teneva in mano una tazza piena d’amarezza ed una bacchetta, ed egli mi ha detto:
“Vedi, figlia mia, che tazza d’amarezza mi dà a bere continuamente il mondo?” Ed io: “Signore, fatene parte a me, così non soffrirete solo”.
Onde mi ha dato un pochettino a bere di quella amarezza, e poi con la bacchetta che teneva in mano si è messo a trapassarmi la parte del cuore, tanto da fare un buco da dove usciva un rivolo di quella amarezza che mi ero bevuta, ma cambiato in latte dolce, ed andava alla bocca del bambino, il quale tutto si raddolciva e ristorava, e poi mi ha detto:
“Figlia mia, quando do all’anima l’amaro, le tribolazioni, se l’anima si uniforma alla mia Volontà, mi è grata, se me ne ringrazia e me ne fa un presente offerendolo a me stesso, per essa è amaro, è sofferenza, e per me si cambia in dolcezza e ristoro; ma quello che più mi ricrea e mi dà piacere è vedere l’anima che se opera e se patisce è tutta intenta a piacere a me solo, senza altro fine o scopo di ricompensa. Però quello che rende più cara l’anima, più bella, più amabile, più intrinseca nell’Es­sere Divino, è la perseveranza in questo modo di comportarsi, rendendola immutabile coll’immutabile Dio; ché se oggi fa, domani no, se una volta tiene un fine ed un’altra volta un altro, oggi cerca di piacere a Dio, domani alle creature, è immagine di chi oggi è regina e domani è vilissima serva, oggi si pasce di squisiti cibi e domani di sporcizie”.
Dopo poco è scomparso, ma dopo poco è ritornato soggiungendo:
“Il sole sta a benefizio di tutti, ma non tutti godono i suoi benefici effetti. Così il sole divino a tutti dà la sua luce, ma chi gode i suoi benefici effetti? Chi tiene aperti gli occhi alla luce della verità. Tutti gli altri, ad onta che sta il sole esposto, ne restano allo scuro; ma propria­mente gode, riceve tutta la pienezza di questo sole, chi sta tutto intento a piacermi”.
Giugno 30, 1903   (15)
Trovandomi fuori di me stessa, ho visto la Regina Madre, ed io prostrandomi ai suoi piedi le ho detto: “Dolcissima Madre mia, in che terribili strette[6] mi trovo, priva dell’unico mio Bene e della mia stessa vita, mi sento di toccare gli estremi”.
E mentre ciò dicevo piangevo; e la Vergine Santissima, aprendosi dalla parte del cuore come se si aprisse una custodia, ha preso il bambino da dentro e me lo ha dato dicendomi:
“Figlia mia, non piangere, eccoti il tuo Bene, la tua vita, il tuo tutto; prendilo e tienilo sempre con te, e mentre lo terrai con te, tieni il tuo sguardo fisso nel tuo interno sopra di lui; non ti imbarazzare se non ti dice niente, o se tu non saprai dire nulla, guardalo solo nel tuo interno, ché col guardarlo comprenderai tutto, farai tutto e soddisferai per tutti. Questa è la bellezza dell’anima interiore, che senza voce, senza istruzione, siccome non c’è nessuna cosa esterna che l’attira o l’inquieta, ma tutto il suo attiramento, tutti i suoi beni stanno conchiusi nell’interno, facilmente col semplice guardare Gesù tut­to intende e tutto opera. In questo modo camminerai fino alla vetta del Calvario, e giunti che lì saremo, non più bambino lo vedrai, ma crocifisso, e tu vi resterai insieme con lui crocifissa”.
Onde pareva che col bambino in braccia e la Vergine Santissima facevamo la via del Calvario; mentre si camminava qualche volta trovavo qualcuno che mi voleva togliere Gesù, e chiamavo in aiuto la Regina Madre dicendole: “Mamma mia, aiutami che vogliono strapparmi Gesù”. Ed essa rispondevami:
“Non temere, il tuo studio sia tenere lo sguardo interno fisso sopra di lui, e questo ha tanta forza che tutte le altre forze, umane e diaboliche, restano debilitate e sconfitte”.
Ora mentre si camminava abbiamo trovato un tempio in cui si celebrava la Santa Messa; nel punto di far la comunione io son volata col bambino in braccia, all’al­tare per comunicarmi. Ma quale non è stata la mia sor­presa, che appena [è] andato dentro di me Gesù Cristo, mi è scomparso dalle braccia, e dopo poco mi son trovata in me stessa.
Luglio 3, 1903   (16)
Questa mattina trovandomi sommamente afflitta per la perdita del mio adorabile Gesù, quando al meglio si è fatto vedere nel mio interno che tutto riempiva la mia persona, cioè la mia testa, le mie braccia, e così di tutto il resto. E mentre ciò vedevo mi ha detto, quasi volendomi spiegare il significato del come si faceva vedere:
“Figlia mia, perché t’affliggi essendo io il padrone di tutta te? E quando un’anima giunge a rendermi padrone della sua mente, delle braccia, del cuore e dei piedi, il peccato non può regnare, e se qualche cosa involontaria vi entra, essendo io il padrone, e l’anima stando sotto l’influsso della mia padronanza, sta in continua attitudine di purgazione e subito ne esce. Oltre di ciò, essendo io santo, [le] riesce difficile ritenere in sé qualche cosa che non è santa; di più, avendomi dato tutta sé stessa in vita, è giustizia che io le doni tutto me stesso in morte, ammettendola senza alcun ritardo alla visione beatifica. Onde chi tutto a me si dona, le fiamme del purgatorio non hanno che ci fare[7] con essa”.
Agosto 3, 1903   (17)
Trovandomi nel solito stato, quando appena è venuto il mio adorabile Gesù facendomi sentire la sua dolcissima voce che diceva:
“Quanto più l’anima si spoglia delle cose naturali, tanto più acquista delle cose soprannaturali e divine; quanto più si spoglia dell’amor proprio, tanto più acquista d’amor di Dio; quanto meno s’affatica nel conoscere le scienze umane, nel gustare i piaceri della vita, tanto di[8] conoscenza di più acquista delle cose del cielo, della virtù, e tanto più le gusterà, convertendosi le amare in dolci. Insomma sono cose tutte che vanno di pari passo, di modo che, se niente si sente del soprannaturale, se l’amore di Dio è spento nell’anima, se non si conosce niente delle virtù e delle cose del cielo e nessun gusto si prova, la ragione si conosce benissimo”.
Ottobre 2, 1903   (18)
Trovandomi nel solito mio stato, tutta amareggiata ed afflitta e quasi stupidita per la privazione del mio adorabile Gesù, non sapendo io stessa dove mi trovassi, se nell’inferno o sulla terra, come lampo che sfugge ap­pena l’ho visto che diceva:
“Chi si trova nella via delle virtù sta nella mia stessa vita, e chi si trova nella via del vizio si trova in contraddizione con me”. Ed è scomparso.
Dopo poco, in un altro lampo ha soggiunto: “La mia incarnazione innestò l’umanità alla Divinità, e chi cerca di starsi unito con me, con la volontà, con le opere e col cuore, cercando di svolgere la sua vita a norma della mia, si può dire che cresce nella mia stessa vita, e dà lo sviluppo all’innesto da me fatto, aggiungendo altri rami all’albero della mia umanità. Se poi non si unisce con me, oltre che non cresce in me non dà nessuno sviluppo all’innesto; ma siccome chi non sta con me non può avere vita, quindi con la perdizione si scioglie questo innesto”. E di nuovo è scomparso.
Dopo di ciò mi son trovata fuori di me stessa, dentro un giardino dove stavano varie macchie di rose, alcune belle sbocciate, in giusta proporzione, quasi semichiuse, ed altre con le foglie tutte cadenti, che appena ci voleva un leggero movimento per farle sfrondare restando il solo gambo della rosa nudo; ed un giovane, non sapendo [io] chi fosse, mi ha detto:
“Le prime rose sono le anime interne[9], che operano nel loro interno [e] sono simbolo delle[10] foglie della rosa che contengonsi nell’interno, dando un risalto di bellezza, di freschezza e di solidità, senza temere che qualche foglia cada per terra; le foglie esterne sono simbolo dello sboccio che fa l’anima interiore all’esteriore, che avendo vita da dentro sono opere profumate di carità santa, che quasi luci colpiscono gli occhi di Dio e del prossimo. Le seconde macchie di rose sono le anime esteriori, che quel poco di bene che fanno tutto è esterno ed a vista di tutti, onde non essendo uno sboccio dell’interno, non ci può essere la sola mira di Dio ed il solo suo amore. Onde dove non c’è questo, le foglie non possono essere radicate, cioè le virtù, onde va il leggero soffio della superbia, e vi fa cader le foglie; il soffio della compiacenza, dell’amor proprio, della stima altrui, delle con­traddizioni, mortificazione, ed appena la toccano, e le foglie vanno per terra, sicché la povera rosa resta sempre nuda, senza foglie, restandole le sole spine, che le pungono la coscienza”.
Dopo ciò mi son trovata in me stessa.
Ottobre 3, 1903   (19)
Mentre stavo pensando all’ora della passione quando Gesù si licenziò dalla sua Madre per andare alla morte e si benedissero a vicenda, e stavo offerendo quest’ora per riparare per quelli che non benedicono in ogni cosa il Signore - anzi l’offendono - per impetrare tutte quelle benedizioni che ci sono necessarie per conservarci in grazia di Dio e per riempire il vuoto della gloria di Dio, come se tutte le creature lo benedicessero; mentre ciò facevo, me lo sono sentito muovere nel mio interno, e diceva:
“Figlia mia, nell’atto di benedire mia Madre intesi pure di benedire ciascuna creatura in particolare, ed in generale, di modo che tutto sta benedetto da me: i pensieri, le parole, i palpiti, i passi, i movimenti fatti per me, tutto, tutto sta avvalorato con la mia benedizione. Anzi ti dico che tutto ciò che di bene fanno le creature, tutto fu fatto dalla mia umanità, per fare che tutto l’ope­rato delle creature fosse prima da me divinizzato. Oltre di ciò la mia vita continua ancora, reale e vera, nel mondo, non solo nel Santissimo Sacramento, ma nelle anime che si trovano in grazia mia; ed essendo molto ristretta la capacità della creatura, non potendo afferrare una sola tutto ciò che io feci, faccio in modo che in un’anima continui la mia riparazione, in un’altra la lode, in cia­scun’altra[11] il ringraziamento, in qualche altra lo zelo della salute delle anime, in un’altra le mie sofferenze, e così di tutto il resto. A seconda che mi corrispondono, così sviluppo la mia vita in loro; quindi devi pensare in quali strettezze e pene mi mettono, mentre io voglio operare in loro e quelli non mi danno retta”.
Detto ciò è scomparso ed io mi sono trovata in me stessa.
Ottobre 7, 1903   (20)
Avendo detto al confessore che mi lasciasse nella Volontà di Nostro Signore, togliendomi l’ubbidienza che, o mi voleva o non mi voleva[12], dovevo continuare a starmi in questo stato di vittima; e lui prima [ha detto] che non voleva, e poi, se io assumessi[13] la risponsabilità di rispondere a Gesù Cristo di quello che poteva succedere nel mondo, onde ci pensasse[14] prima e poi rispondere. E volendo dire che non volendo io oppormi al Voler Divino, solo che, se il Signore lo vuole io voglio, se non vuole non voglio, a che pro questa risponsabilità? E lui: “Pensa[c]i prima e domani risponderai”. Quindi, pensando, nel mio interno [Gesù] mi ha detto:
“La giustizia lo vuole, l’amore no”.
Poi, trovandomi nel solito mio stato, quando appena l’ho visto e mi ha detto:
“Gli angioli, ottengano o non ottengano, fanno sempre il loro uffizio, non si ritirano dall’opera affidata loro da Dio della custodia delle anime; ad onta che veggono che, quasi a dispetto delle loro cure, diligenze, industrie, le assistenze continue, le anime vanno miseramente perdute, [essi] sono sempre là, ai loro posti; né se ottengono o non ottengono danno maggiore o minore gloria a Dio, perché la loro volontà è sempre stabile di[15] compiere il lavoro affidato loro. Le anime vittime sono gli angioli umani che devono riparare, impetrare, proteggere l’umanità, e se ottengono o non ottengono, non devono cessare dal loro lavoro; meno che non venisse loro as­sicurato dall’alto”.
Questa mattina vedevo il mio adorabile Gesù nel mio interno, coronato di spine, e nel vederlo in quel modo gli ho detto: “Dolce mio Signore, perché il vostro capo invidiò il flagellato vostro corpo che aveva tanto sofferto e tanto sangue avea versato, e non volendo il capo restare da meno del corpo onorato col fregio del patire, istigaste voi stesso i nemici a coronarvi con una sì dolorosa e tormentosa corona di spine?”
E Gesù: “Figlia mia, molti significati contiene questa coronazione di spine, e per quanto ne dicessi[16] resta sempre molto da dire, perché è quasi incomprensibile alla mente creata il perché il mio capo volle tenersi onorato con l’avere la sua porzione distinta e speciale, non generale, d’una sofferenza e spargimento di sangue a parte, facendo quasi a gara col corpo. Il perché fu che essendo il capo che unisce tutto il corpo e tutta l’anima, di modo che il corpo senza il capo è niente, tanto che si può vivere senza le altre membra, ma senza il capo è impossibile, essendo la parte essenziale di tutto l’uomo, tanto vero che se il corpo pecca o fa del bene, è il capo che dirige, non essendo altro il corpo che uno strumento; onde dovendo il mio capo restituire il regime ed il dominio, e meritargli nelle menti umane che entrassero nuovi cieli di grazie, nuovi mondi di verità, e ribattere nuovi inferni di peccati fino a farsi[17] vili schiavi di vili passioni, e volendo coronare tutta l’umana famiglia di gloria, di onore e di decoro, perciò volli coronare ed onorare in primo la mia umanità, sebbene con una corona di spine dolorosissima, simbolo della corona immortale che restituivo alle creature, [corona che era stata loro] tolta dal peccato.
Oltre di ciò la corona di spine significa che non c’è gloria ed onore senza spine; che non ci può mai essere dominio di passioni, acquisto di virtù, senza sentirsi pungere fin dentro la carne e lo spirito, e che il vero regnare sta nel donare sé stesso, colle punture della mortificazione e del sacrifizio. Inoltre queste spine significavano che vero ed unico Re sono io, e chi solo mi costituisce Re del proprio cuore, gode pace e felicità, ed io la costituisco regina del mio proprio regno. Onde tutti quei rivoli di sangue che sgorgavano dal mio capo, erano tanti fiumicelli che legavano l’intelligenza umana alla conoscenza della mia sovranità sopra di loro[18]”.
Ma chi può dire tutto ciò che sento nel mio interno? Non ho parole ad esprimerlo; anzi quel poco che ho detto mi pare di averlo detto sconnesso, e così credo che deve essere nel parlare [del]le cose di Dio; per quanto alto e sublime uno ne possa parlare, essendo lui[19] increato e noi creati, non si può dire di Dio che balbettando.
Trovandomi nel mio solito stato, mi sentivo tutta piena di peccati e di amarezza, onde si è fatto come un lampo nel mio interno, ed appena ho visto il mio adorabile Gesù; ma però alla sua presenza i peccati sono scomparsi, ed io temendo ho detto: “Signore mio, come alla vostra presenza, che io devo conoscere di più i miei peccati, succede il contrario?”
E lui: “Figlia mia, la mia presenza è mare che non ha confini, e chi si trova nella mia presenza è come una gocciolina, che sia pur nera o bianca, che nel mio mare si sperde, come si può più conoscere? Inoltre il mio tocco divino purga tutto, e le nere le fa bianche, come dunque tu temi? Oltre di ciò la mia Volontà è luce, e facendo tu sempre la mia Volontà ti pasci di luce, convertendosi le tue mortificazioni, privazioni e sofferenze in nutrimento di luce per l’anima, perché il solo cibo sostanzioso e che dà vera vita è la mia Volontà. E non sai tu che questo continuo nutrirsi di luce, ancorché l’anima contragga qualche difetto, la purga continuamente?”
Detto ciò è scomparso.
Continuando il mio solito stato, per brevi istanti ho visto il mio adorabile Gesù, e mi ha detto:
“Figlia mia, sai tu che cosa forma il peccato? Un atto opposto della volontà umana alla Divina. Immaginati due amici che stanno in contraddizione, se la cosa è lieve tu dici che non è perfetta e leale la loro amicizia, fosse pure in cose piccole; come amarsi e contraddirsi? Il vero amore è vivere nella volontà altrui, anche a costo di sacrifizio. Se poi la cosa è grave, non solo non sono amici, ma fieri nemici. Tale è il peccato: opporsi al Volere Divino è lo stesso che farsi nemico di Dio, sia pure in cose piccole; è sempre la creatura che si mette in contraddizione col Creatore”.
Avendo detto al confessore i miei timori sul non essere Volontà di Dio il mio stato, e che almeno per prova vorrei provare a sforzarmi di uscire, e vedere se riuscivo o no. Ed il confessore, senza fare le sue solite difficoltà ha detto: “Va bene, domani proverai”.
Onde io sono lasciata[20] come se fossi stata, da un peso enorme liberata. Or avendo celebrato la Santa Messa ed avendo fatto la comunione, quando appena ho visto il mio adorabile Gesù nel mio interno che mi guardava fisso, colle mani giunte, in atto di chiedere pietà ed aiuto. Ed in questo mentre mi son trovata fuori di me stessa, dentro una stanza dove stava una donna maestosa e veneranda, ma gravemente inferma, dentro un letto con le spalliere tanto alte che quasi toccavano la volta; ed io ero costretta a stare al di sopra di questa spalliera in braccio ad un sacerdote per tenerla ferma, e guardare la povera malata. Ond’io mentre stavo in questa posizione, vedevo pochi religiosi che circondavano ed apprestavano cure alla paziente, e con intensa amarezza dicevano tra loro:
“Sta male, sta male, non ci vuole altro che una piccola scossa”. Ed io pensavo a tener ferma la spalliera del letto, per timore che muovendosi il letto potesse morire. Ma vedendo che la cosa andava per le lunghe e quasi infastidendomi dello stesso ozio, dicevo a colui che mi teneva: “Per carità, fammi scendere, io non sto facendo nessun bene né dando nessun aiuto, a che pro starmi così inutile, almeno se scendo posso servirla, aiutarla”.
E quello: “Non hai sentito che anche una piccola scossa può peggiorare e succederle cose tristissime? Onde se tu scendi, non stando chi mantiene fermo il letto può anche morire”.
Ed io: “Ma può essere possibile che facendo solo questo le può venire questo bene? Io non ci credo, per pietà fammi scendere”. Quindi, dopo aver ripetuto varie volte queste parole, mi ha sceso[21] sul pavimento ed io, sola senza che nessuno mi teneva, mi sono avvicinata all’ammalata e con mia sorpresa e dolore vedevo che il letto si muoveva. A quei movimenti quella illividiva la faccia, tremava, faceva il rantolo dell’agonia. Quei pochi religiosi piangevano e dicevano:
“Non c’è più tempo, è già agli estremi momenti”. Poi entravano persone nemiche, soldati, capitani per battere l’ammalata, e quella donna così morente si è alzata con intrepidezza e maestà per essere piagata e battuta. Io nel veder ciò tremavo come una canna e dicevo tra me: “Sono stata io la causa, ho dato io la spinta a [far] succedere tanto male”. E comprendevo che quella donna rappresentava la Chiesa inferma nelle sue membra, con tanti altri significati che mi pare inutile spiegare, perché si comprende leggendo quello che ho scritto. Onde mi son trovata in me stessa e Gesù nel mio interno ha detto:
“Se ti sospendo per sempre, i nemici incominceranno a far versare il sangue alla mia Chiesa”.
Ed io: “Signore, non è che non voglia stare [nel mio stato], il cielo mi guardi che io mi allontani dalla tua Volontà anche per un batter d’occhi, solo che se vuoi mi starò, se non vuoi mi leverò”.
E lui: “Figlia mia, non appena il confessore ti ha sciolto, cioè col dirti: ‘Va bene, domani provaci’, il nodo di vittima si è pur sciolto, perché il solo fregio dell’ub­bidienza è che costituisce la vittima, e non mai l’accet­terei per tale senza questo fregio; anche a costo, se fosse necessario, di fare un miracolo della mia onnipotenza per dar lume a chi dirige, per far dare questa ubbidienza. Io soffrii, soffrii volontario, ma chi mi costituì vittima fu l’ubbidienza al mio caro Padre, che volle fregiare tutte le mie opere, dalla più grande alla più piccola, col fregio onorifico dell’ubbidienza”.
Quindi trovandomi in me stessa, mi sentivo un timore di provare ad uscire, ma poi me la sbrigavo dicendo: “Doveva pensare chi me l’ha data l’ubbidienza, e poi se il Signore mi vuole io son pronta”.
Venendo l’ora del mio solito stato, pensavo tra me che se il Signore non ci veniva dovevo provare a sforzarmi [ad uscire dal mio stato], anche per vedere se almeno ci riuscivo. Onde in primo ci riuscivo, ma poi è venuto il mio adorabile Gesù e mi faceva vedere che quando io pensavo di starmi [nel mio stato], lui si avvicinava e m’incatenava a sé, in modo che io non potevo [uscirne]; quando poi pensavo a levarmi [dal mio stato], lui si allontanava e mi lasciava libera, di modo che potevo farlo; onde non mi sapevo decidere e dicevo fra me: “Quanto vorrei vedere il confessore per domandare a lui che cosa dovrei fare!”
Quindi poco dopo ho visto il confessore insieme con Nostro Signore e subito ho detto: “Ditemi, devo stare, sì o no?” E mentre ciò dicevo, vedevo nell’interno del confessore che aveva ritirato l’ubbidienza che mi aveva dato il giorno precedente, onde mi decisi a starmi, pen­sando tra me che se fosse vero che aveva ritirato l’ub­bidienza, va bene; se poi era mia fantasia che così vedevo, mentre poteva essere falso, quando il confessore veniva, allora si pensava potendo[22] [ri]provare un altro giorno. E così mi son quietata.
Onde seguitando a farsi vedere, il benedetto Gesù mi ha detto:
“Figlia mia, la bellezza dell’anima in grazia è tanta, da innamorare lo stesso Dio; gli angioli ed i santi ne restano stupiti nel vedere questo prodigioso portento d’un anima ancora terrestre posseduta dalla grazia; alla fragranza dell’odore celeste gli corrono intorno, e con sommo lor piacere trovano in essa quel Gesù stesso che li beatifica nel cielo, di modo che per loro è indifferente tanto a star su in cielo, quanto giù vicino a quest’anima. Ma chi mantiene e conserva questo portento, dandole continuamente nuove tinte di bellezza, all’anima che vive nella mia Volontà? Chi toglie qualunque ruggine ed imperfezione e le somministra la conoscenza dell’og­getto che possiede? La mia Volontà. Chi rassoda, stabilisce e fa restare confermata nella grazia? La mia Vo­lontà. Il vivere nel mio Volere è tutto il punto della santità e dà continua crescenza di grazia. Ma chi un giorno fa la mia Volontà, ed un altro la sua, mai resterà confermato nella grazia, non farebbe altro che crescere e decrescere; e questo quanto male arreca all’anima, di quanta gioia priva Dio e sé stessa! È immagine di chi oggi è ricca e domani povera; non resterà confermata né nella ricchezza né nella povertà, quindi non si può sapere dove andrà a finire”.
Detto ciò è scomparso e poco dopo è venuto il confessore, e avendo [io] detto ciò che ho scritto mi ha assicurato che veramente aveva ritirato l’ubbidienza che mi aveva dato.
Per ubbidire al confessore riprendo a dire gli altri significati da me compresi, del giorno del 24 corrente. Onde la donna rappresentava la Chiesa che essendo inferma, non in sé stessa, ma nelle sue membra, e sebbene abbattuta ed oltraggiata dai nemici e resa inferma nelle sue stesse membra, mai non perde la sua maestà e venerazione. Il letto dove si trovava: comprendevo che la Chiesa mentre pare oppressa, inferma, contrastata, pure riposa con un riposo perpetuo ed eterno, e con pace e si­curezza nel seno paterno di Dio, come un bambino nel seno della propria madre. Le spalliere del letto che toccavano la volta: comprendevo la protezione divina che assiste sempre la Chiesa, e che tutto ciò che essa contiene, tutto dal cielo è venuto: sacramenti, dottrine ed altro, tutto è celeste, santo e puro, in modo che tra il cielo e la Chiesa c’è continua comunicazione, non mai interrotta.
I pochi religiosi che prestavano cura, assistenza alla donna, comprendevo che pochi sono quelli che a corpi perduti[23] difendono la Chiesa, tenendo come a[24] sé stessi i mali che riceve; la stanza dove dimorava, composta di pietre, rappresentava la solidità e fermezza ed anche la durezza della Chiesa a non cedere a nessun[25] diritto che le appartiene. La donna morente che con intrepidezza e coraggio si fa battere dai nemici, rappresentava la Chiesa che mentre pare che muore, allora risorge più intrepida; ma come? Con le sofferenze e con lo spargimento di sangue, vero spirito della Chiesa, sempre pronta alle mortificazione, come lo fu Gesù Cristo.
Trovandomi nel solito mio stato, per poco ho visto il mio adorabile Gesù dicendomi:
“Figlia mia, l’accettare le mortificazioni e sofferenze come penitenza e come castigo, è lodevole, è buono, però non ha nessun nesso col modo d’operare divino, perché io feci molto, soffrii molto, ma il modo che tenni in tutto ciò fu il solo amore del Padre e degli uomini[26]. Sicché, si scorge subito se la creatura tiene il modo d’operare e di soffrire alla divina[27], se il solo amore a ciò fare e soffrire la spinge. Se tiene altri modi, ancorché fossero buoni, è sempre modo di creature, e quindi si troverà il merito che può acquistare una creatura, non il merito che può acquistare il Creatore, non essendovi unione di modi. Mentre se tiene il mio modo, il fuoco del­l’amore distruggerà ogni disparità e disuguaglianza, e formerà una sola cosa tra l’opera mia e quella della cre­atura”.
Questa mattina il mio adorabile Gesù si faceva vedere nel mio interno come se si fosse incarnato nella mia stessa persona, e guardandomi ha detto:
“Figlia mia, quando veggo nell’anima impresso il carattere del fine della mia creazione, sentendomi soddisfatto di essa, perché veggo compiuta così bene l’opera da me creata, mi sento in dovere, cioè non dovere - ha soggiunto subito - ché in me non ci sono doveri, ma il mio dovere è un amore più intenso di contraccambiarla, anticipando per lei parte della felicità celeste, cioè manifestando al suo intelletto la conoscenza della mia Divi­nità ed allettandola col cibo delle verità eterne, alla sua vista ricreandola con la mia bellezza, al suo udito facendo risuonare la soavità della mia voce, alla bocca coi miei baci, al cuore gli abbracci e tutte le mie tenerezze; e questo corrisponde al fine d’averla creato[28], qual è: conoscermi, amarmi, servirmi”. Ed è scomparso.
Onde io, trovandomi fuori di me stessa, vedevo il confessore e gli dicevo quello che il benedetto Gesù mi ha detto; gli domandavo se andavo secondo la verità, e [il confessore] mi diceva ; non solo, ma soggiungeva che si conosceva bene il parlare divino, perché quando parla Dio e l’anima lo riferisce, colui che ascolta non solo vede la verità delle parole, ma si sente nel suo interno una commozione che solo lo Spirito Divino possiede.
Questa mattina, non venendo il mio adorabile Gesù, stavo pensando nel mio interno: “Chi sa se fosse vero che era nostro Signore che veniva, o piuttosto il nemico per illudermi. Come, Gesù Cristo doveva lasciarmi così bruttamente senza nessuna pietà?” Ora mentre ciò pensavo, [Gesù] per pochi istanti si è fatto vedere; alzando la sua destra e premendomi la bocca col pollice mi ha detto:
“Taci, taci; e poi sarebbe bello che uno che ha visto il sole, solo perché non lo vede dice che non era sole quello che avea veduto. Non sarebbe più vero e ragionevole se dicesse che il sole si è nascosto?” Ed è scomparso.
Ma però non lo vedevo, ma sentivo che con le sue mani mi andava tutta ritoccando e strofinando la bocca, la mente ed altro, e mi faceva tutta lucente; e siccome non lo vedevo, la mente seguitava a fare dei dubbi, e lui facendosi vedere di nuovo ha soggiunto:
“Ancora non vuoi finirla? Tu vuoi farmi scomparire l’opera mia in te, perché dubitando non sei in pace, ed essendo io fonte di pace, non vedendoti in pace farai dubitare a chi ti guida, che non è il Re della pace che abita in te. Ah, non vuoi stare attenta! È vero che faccio tutto io nell’anima, in modo che senza di me non farebbe nulla, ma è pur vero che lascio sempre un filo di volontà all’anima, che può anch’essa dire: ‘Tutto faccio di mia propria volontà’.
Onde, stando inquieta spezzi quel filo d’unione con me, e mi leghi le braccia senza che io possa operare in te, aspettando finché ti rimetti in pace per riprendere il filo della tua volontà e continuare l’opera mia”.









[1] confessore presente
[2] e nominò
[3] il quale si investì
[4] deformate
[5] in cui
[6] in altra edizione: stato
[7] che ci fare, cioè: a che fare
[8] tanto di,. cioè: tanta
[9] interiori
[10] simbolo delle, cioè: simboleggiate dalle
[11] ciascun’altra, forse: un’altra
[12] o mi voleva o non mi voleva, cioè: sia che Gesù mi ci volesse sia che non mi ci volesse,
[13] se io assumessi, cioè: ha detto che avrebbe accondisceso se io avessi assunto
[14] pensassi
[15] nel
[16] dica
[17] fino a farsi, cioè: con i quali gli uomini si fanno
[18] gli uomini
[19] Dio
[20] rimasta
[21] ha sceso, cioè: fatto scendere
[22] di poter
[23] corpi perduti, cioè: fino a dare la vita
[24] per
[25] a nessun, cioè: nessun
[26] del Padre e degli uomini, cioè: per il Padre e per gli uomini
[27] alla divina, cioè: in modo divino
[28] al fine d’averla creato, cioè: allo scopo per cui l’ho creata 


VOLUME 6

I.M.I.
Continuando il mio solito stato mi sono trovata fuori di me stessa, e vedevo me stessa come un piccolo vaporetto, ed io tutta mi maravigliavo nel vedermi ridotta in quella forma. Onde in questo mentre è venuto il mio adorabile Gesù e mi ha detto:
“Figlia mia, la vita dell’uomo è vapore, e siccome al vapore è il solo fuoco che lo fa camminare, ed a misura che il fuoco è vivo e molto, così corre più veloce, e se è poco cammina a lento passo, e se è spento resta fermato, così l’anima, se il fuoco dell’amor di Dio è molto, si può dire che vola sopra tutte le cose della terra e sempre corre e vola al suo centro ch’è Dio; se poi è poco si può dire che cammina stentata, strisciandosi ed infangandosi di tutto ciò ch’è terra; se poi è spento resta fermata, senza vita di Dio in essa, come morta a tutto ciò che è divino. Figlia mia, quando l’anima in tutte le sue azioni, non le fa per altro che per il solo fine d’amarmi e nessun’al­tra ricompensa vuole del suo operato che il mio solo amore, cammina sempre di giorno, mai per lei è notte, anzi cammina nello stesso sole, che quasi vapore la circonda per farla camminare in esso facendole godere tutta la pienezza della luce; non solo, ma le sue stesse azioni le servono di luce per il suo cammino e le accrescono sempre nuova luce”.
Trovandomi nel solito mio stato, stavo pregando per certi bisogni del prossimo, ed il benedetto Gesù muovendosi nel mio interno mi ha detto:
“Per qual fine preghi per queste persone?”
Ed io: “Signore, e voi per qual fine ci amaste?”
E lui: “Vi amo perché siete cosa mia stessa, e quando l’oggetto è suo proprio, [uno] si sente costretto, è come una necessità di amarlo”.
Ed io: “Signore, sto pregando per queste persone perché sono cosa vostra, altrimenti non mi sarei interessata”. E lui mettendomi la mano alla fronte quasi premendola, ha soggiunto:
“Ah, così è perché cosa mia? Così va bene l’amore del prossimo”.
Continuando nel mio solito stato, quando appena ho visto il benedetto Gesù che mi diceva:
“Figlia mia, il vero amore dimentica sé stesso e vive agli interessi, alle pene ed a tutto ciò che appartiene alla persona amata”.
Ed io: “Signore, come si può dimenticare sé stesso mentre lo sentiamo tanto? Non è che sia una cosa da noi lontana oppure divisa, che facilmente si può dimenticare”.
E di nuovo [Gesù] ha soggiunto che: là c’è il sacrifizio del vero amore, che mentre tiene sé stesso deve vivere a tutto ciò che appartiene alla persona amata, anzi se si ricorda di sé stesso, questo ricordo deve servire ad industriarsi maggiormente come potersi consumare per l’oggetto amato; e l’amato se vede che l’anima si dà tutta per lui, la saprà bene ricompensare dandole tutto sé stesso e facendola vivere della sua vita divina. Sicché chi tutto dimentica, tutto trova.
Oltre di ciò è necessario vedere la differenza che passa tra ciò che si dimentica e ciò che si trova: si dimentica il brutto e si trova il bello, si dimentica la natura e si trova la grazia, si dimenticano le passioni e si trovano le virtù, si dimentica la povertà e si trova la ricchezza, si dimentica la stoltezza e si trova la sapienza, si dimentica il mondo e si trova il cielo.
Questa mattina trovandomi fuori di me stessa mi son trovata col bambino Gesù in braccia, ed una vergine che mi ha disteso in terra per farmi soffrire la crocifissione, ma non con i chiodi, ma col fuoco, mettendomi un carbone di fuoco alle mani ed ai piedi; ed il benedetto Gesù che mi assisteva mentre soffrivo, mi diceva:
“Figlia mia, non c’è sacrifizio senza rinnegamento di sé stesso, ed il sacrifizio ed il rinnegamento di sé fa nascere l’amore più puro e perfetto; ed essendo il sacrifizio sacro, avviene che mi consacra l’anima come degno mio santuario per farvi la mia perpetua dimora. Onde fa che il sacrifizio lavori in te per renderti sacra l’anima ed il corpo, per poter essere in te tutto sacro, e tutto a me consacrami”.
Continuando il mio solito stato, ho visto nel mio interno il benedetto Gesù, ed una luce nel mio intelletto che diceva:
“Mentre si è niente si può essere tutto, ma in che modo? Si diventa tutto col patire. Il patire fa diventare l’a­nima pontefice, sacerdote, re, principe, ministro, giudice, avvocato, riparatore, protettore, difensore. E siccome il vero patire è quel patire voluto da Dio in noi, e l’ani­ma s’acquieta in tutto al Volere suo, questo acquietamento unito al patire fa che l’anima imperi sulla giustizia, sulla misericordia di Dio, sugli uomini e sopra tutte le cose. Ora siccome il patire, in Cristo, gli diede tutte le più belle qualità e tutti gli onori ed uffizi che umana natura può contenere, così l’anima partecipando al patire di Cristo partecipa alle qualità, agli onori ed agli uffizi di Cristo che è il Tutto”.
Nel mio interno mi sentivo impressionata sopra ciò che avevo scritto di sopra, come se non andasse secondo la verità, onde appena visto il benedetto Gesù ho detto: “Signore, non va quello che ho scritto; come ci può essere tutto questo col solo patire?”
E lui: “Figlia mia, non ti maravigliare, perché non c’e bellezza che [sia] eguale al patire per il solo amore di Dio. Da me partono continuamente due saette, una dal mio cuore, che è d’amore e ferisce tutti quelli che stanno nel mio grembo, cioè che stanno nella mia grazia, e questa saetta impiaga, mortifica, sana, affligge, attira, ri­vela, consola, e continua la mia passione e redenzione in quelli che stanno nel mio grembo; l’altra parte dal mio trono, e l’affido agli angioli, i quali come miei ministri fanno scorrere questa saetta sopra qualunque specie di persone, castigandole ed eccitando tutti alla conversione”.
Ora mentre ciò diceva mi ha partecipato le sue pene dicendomi:
“Ecco anche in te la continuazione della mia redenzione”.
Continuando il mio solito stato quando appena ho visto il benedetto Gesù nel mio interno, e come se volesse seguitare a togliermi i dubbi mi ha detto:
“Figlia, io sono la verità stessa, e mai può uscire da me la falsità, al più qualche cosa che l’uomo non comprende, e questo lo faccio per far vedere che se non si comprende bene la parola, come si può comprendere in tutto il Creatore? Ma però l’anima deve corrispondere col mettere in pratica la mia parola, ché ogni parola sono tanti anelli di grazia che escono da me, facendone dono alla creatura, e se [lei] corrisponde, questi anelli l’incatena agli altri già acquistati; se poi no, li rimanda indietro al suo Creatore. Non solo questo, ma allora io parlo, quando veggo la capacità della creatura che può ricevere quel dono, e corrispondendomi non solo acquista tanti anelli di grazia, ma acquista pure tanti anelli di sapienza divina; e se li veggo incatenati con la corrispondenza, mi dispone a darle altri doni, se poi veggo i miei doni rimandati indietro, mi ritiro facendo silenzio”.
Continuando il mio solito stato, per poco è venuto il mio benedetto Gesù dicendomi:
“Figlia mia, qualunque azione umana che non ha nessun nesso con la Volontà Divina mette fuori Iddio dalla sua propria creazione; anche lo stesso patire, per quanto santo, nobile e prezioso fosse ai miei occhi, eppure se non è parto della mia Volontà anziché piacermi m’inde­gna e mi è disgustoso”.
Oh, potenza della Volontà Divina quanto sei santa, adorabile ed amabile! Con te siamo tutto ancorché niente facessimo, perché la tua Volontà è feconda e tutti i beni ci partorisce, e senza di te siamo niente ancorché tutto facessimo, perché la volontà umana è sterile e sterilisce ogni cosa.
Non avendo potuto ricevere la comunione questa mattina, me ne stavo tutta afflitta, ma rassegnata, e pensavo tra me che se non fosse stato che mi trovavo in questa posizione di stare in letto e d’essere vittima, certamente l’avrei potuto ricevere, e dicevo al Signore: “Ve­di, lo stato di vittima mi sottopone al sacrifizio di privarmi di ricevere te in sacramento; almeno accetta il sacrifizio di privarmi di te per contentare te, come un atto più intenso d’amore per te, che almeno il pensare che la tua stessa privazione attesta di più il mio amore per te, raddolcisce l’amarezza della tua privazione”. E mentre ciò dicevo le lacrime mi scendevano dagli occhi. Ma oh, bontà del mio buon Gesù, non appena mi sono assopita, senza farmi tanto aspettare e cercare secondo il solito, è venuto subito e mettendomi le mani al volto tutta mi carezzava e mi diceva:
“Figlia mia, povera figlia, coraggio, la mia privazione eccita maggiormente il desiderio, ed in questo desiderio eccitato l’anima respira Dio, e Dio sentendosi più acceso da questo eccitamento dell’anima respira l’anima, ed in questo respirarsi a vicenda Dio e l’anima, s’accende maggiormente la sete dell’amore. Ed essendo l’amore fuoco vi forma il purgatorio dell’anima, e questo purgatorio d’amore le serve non d’una sola comunione al giorno, come permette la Chiesa, ma d’una continua co­munione per quanto è continuo il respiro, ma tutte comunioni di purissimo amore, solo di spirito e non di corpo; ed essendo lo spirito più perfetto, ne avviene che l’amore è più intenso. Così ripago io, non chi non vuole ricevermi, ma chi non può ricevermi, privandosi di me per contentare me”.
Continuando il mio stato mi sentivo un peso sull’ani­ma mia, come se sopra di me gravitasse tutto il mondo per la privazione del benedetto Gesù, e nella mia immensa amarezza facevo quanto più potevo a cercarlo. Onde essendo venuto mi ha detto:
“Figlia mia, ogniqualvolta l’anima mi cerca, riceve u­na tinta, un lineamento divino ed altrettante volte rinasce in me, ed io rinasco in lei”.
Mentre ciò diceva stavo pensando a quello che aveva detto, quasi maravigliandomi e dicendo: “Signore, che dite?”
E lui ha soggiunto: “Oh, se sapessi la gloria, il gusto che sente tutto il cielo nel ricevere questa nota dalla terra, di un’anima che cerca sempre Dio, tutta conforme alla[1] loro! Che cosa è la vita dei beati? Chi è che la forma? Questo rinascere continuamente in Dio e Dio in loro; questo è quel detto: ‘Che Dio è sempre vecchio e sempre nuovo’; né mai si prova stanchezza, perché stanno in continua attitudine di nuova vita in Dio”.
Continuando il mio solito stato, per pochi istanti ho visto il benedetto Gesù con la croce sulle spalle, nell’at­to d’incontrarsi con la sua Santissima Madre, ed io gli ho detto: “Signore, che cosa fece la vostra Madre in questo incontro dolorosissimo?”
E lui: “Figlia mia, non fece altro che un atto d’ado­razione profondissimo e semplicissimo, e siccome l’atto quanto più [è] semplice altrettanto [è] facile ad unirsi con Dio, Spirito semplicissimo, perciò in questo atto s’infuse in me e continuò ciò che operavo io stesso nel mio interno; e questo mi fu sommamente gradito, [più] che se mi avesse fatto qualunque altra cosa più grande, perché il vero spirito d’adorazione in questo consiste: che la creatura sperde sé stessa e si trova nell’ambiente divino e adora tutto ciò che opera Dio e con lui si unisce. Credi tu che sia vera adorazione quella che[2] la bocca adora e la mente sta ad altro? Ossia la mente adora e la volontà sta lontana da me? Oppure che una potenza mi adora e le altre stanno tutte disordinate? No, io voglio tutto per me, e tutto ciò che le ho dato in me, e questo è l’atto più grande di culto, d’adorazione che la creatura può farmi”.
Questa mattina mi son trovata fuori di me stessa, e guardando nella volta del cielo vi vedevo sette soli risplendentissimi, ma la forma era diversa dal sole che noi vediamo: incominciava a forma di croce ed andava a finire in punta, e questa punta stava dentro d’un cuore. In primo non si vedeva bene, perché era tanta la luce di questi soli che non lasciavano vedere chi dentro vi stava, ma quanto più mi avvicinavo, tanto più si distingueva che dentro ci stava la Regina Mamma, e nel mio interno andavo dicendo: “Quanto vorrei dirle se volesse che mi sforzassi ad uscire da questo stato senza che aspettassi il sacerdote”. In questo mentre mi son trovata vicino e [glie]l’ho detto, e mi ha risposto un no reciso. Io sono lasciata[3] mortificata da questa risposta, e la Santissima Vergine si è voltata ad una moltitudine di persone che le facevano corona e ha detto loro:
“Sentite che vuol fare”.
E tutti hanno detto: “No, no”. Poi avvicinandosi a me, tutta benignità mi ha detto:
“Figlia mia, coraggio nella via del dolore. Vedi questi sette soli che mi escono da dentro il cuore: sono i sette miei dolori che mi fruttarono tanta gloria e splendore; questi soli, frutto dei miei dolori, saettano continuamente il trono della Santissima Trinità, la quale sentendosi ferita mi mandano[4] sette canali di grazia continuamente, rendendomi patrona ed io li dispongo a gloria di tutto il cielo, a sollievo delle anime purganti ed a benefizio di tutti i viatori”.
Mentre ciò diceva è scomparsa, ed io mi sono trovata in me stessa.
Trovandomi nel solito mio stato, è venuto il mio adorabile Gesù crocifisso, ed avendomi partecipato le sue pene, mentre io soffrivo mi ha detto:
“Figlia mia, nella creazione io diedi all’anima la mia immagine, nell’Incarnazione diedi la mia Divinità, divinizzando l’umanità. E siccome nell’atto stesso che s’in­carnò la Divinità nell’Umanità, in quel medesimo istante s’incarnò nella croce, sicché da che fui concepito concepii unito con la croce. Sicché si può dire che siccome la croce fu unita con me nell’Incarnazione che feci nel seno di mia Madre, così la croce forma altrettante mie incarnazioni nel seno delle anime; e siccome forma la mia [incarnazione] nelle anime, così la croce è l’in­carnazione dell’anima in Dio, distruggendole tutto ciò che dà[5] di natura e riempiendosi [l’anima] tanto della Divinità, da formare una specie d’incarnazione: Dio nell’a­nima e l’anima in Dio”.
Io sono restata come incantata nel sentire che la croce è l’incarnazione dell’anima in Dio, e lui ha ripetuto:
“Non dico unione, ma incarnazione, perché la croce s’intromette tanto nella natura, da far diventare la stessa natura dolore, e dove c’è il dolore là vi è Dio, senza poter stare separato Dio e il dolore; e la croce formando questa specie d’incarnazione rende l’unione più stabile, e quasi difficile la separazione di Dio coll’anima, com’è difficile separare il dolore dalla natura, mentre coll’u­nione facilmente può avvenire la separazione. S’intende sempre che non sono Incarnazione, ma similitudine d’incarnazione”.
Detto ciò è scomparso, ma dopo poco è ritornato nel­l’atto della sua passione quando fu coperto d’obbrobri, d’ignominie, di sputi; ed io gli ho detto: “Signore, insegnatemi che cosa potrei fare per allontanare da voi questi obbrobri e restituirvi gli onori, le lodi e adorazioni”.
E lui ha detto: “Figlia mia, intorno al mio trono c’è un vuoto, e questo vuoto dev’essere riempito dalla gloria che mi deve la creazione; onde chi mi vede disprezzato dalle altre creature e mi onora, non solo per sé, ma per gli altri, mi fa rinascere gli onori in questo vuoto; quando non mi vede amato e mi ama, mi fa rinascere l’amore; quando vede che riempio le creature di benefizi e non mi sono grate e neppure mi ringraziano, ed essa mi è grata come se fossero fatti ad essa i benefizi e mi ringrazia, mi fa rinascere in questo vuoto il fiore della gratitudine e del ringraziamento, e così di tutto il resto che mi deve la creazione e con ingratitudine nera mi nega. Ora essendo tutto questo un trabocco della carità dell’anima - che non solo mi rende quello che mi deve per sé, e[6] quello che trabocca da sé me lo fa per altri - essendo frutto della carità questa gloria, questi fiori che mi manda in questo vuoto intorno al mio trono, ne ricevono una tinta più bella e a me gradita”.
Questa mattina, trovandomi nel solito mio stato è venuto il bambino Gesù, ed io vedendolo piccino piccino come se allora fosse nato, gli ho detto: “Carino mio, qual fu la causa, chi vi fece venire dal cielo e nascere così piccino nel mondo?”
E lui: “L’amore ne fu la cagione; non solo, ma la mia nascita nel tempo fu lo sbocco d’amore della Santissima Trinità verso le creature. In uno sbocco d’amore di mia Madre nacqui dal suo seno, ed in uno sbocco d’amore rinasco nelle anime. Ma questo sbocco viene formato dal desiderio: non appena l’anima incomincia a desiderarmi io resto già concepito; quanto più s’inoltra nel desiderio, così mi vado ingrandendo nell’anima; quando questo desiderio riempie tutto l’interno e giunge a farne lo sbocco fuori, allora rinasco in tutto l’uomo, cioè nella mente, nella bocca, nelle opere e nei passi.
All’opposto anche il demonio fa le sue nascite nelle anime; non appena l’anima incomincia a desiderare ed a volere il male, resta concepito il demonio con le sue opere perverse, e se questo desiderio viene nutrito, il demonio s’ingrandisce e riempie tutto l’interno di passioni, le più brutte e schifose, e giunge a farne lo sbocco fuori, dando tutto l’uomo la rotta a tutti i vizi. Figlia mia, quante nascite fa il demonio in questi tristissimi tempi; se avessero potere, gli uomini ed i demoni avrebbero distrutto le mie nascite nelle anime”.
Dopo aver molto stentato, quando appena è venuto il mio benedetto Gesù, e mi faceva vedere molte anime u­mane nella sua Umanità, e mentre ciò vedevo mi ha detto:
“Figlia mia, tutte le vite umane stanno nella mia Umanità in cielo come dentro d’un chiostro, e stando dentro del mio chiostro, da me parte il regime delle loro vite, non solo, ma la mia Umanità essendo chiostro fa tutte le vite di ciascun’anima; quale n’è la mia gioia quando le anime si stanno in questo chiostro e l’eco che esce dalla mia Umanità si combina con l’eco di ciascuna vita umana della terra! E qual è la mia amarezza quando veggo che le anime non sono contente e se ne escono, ed altre si stanno, ma forzate e malvolentieri, non si sottopongono alle regole ed al regime del mio chiostro, quindi l’eco non si combina insieme”.
Gennaio 6, 1904   (16)
Continuando il mio solito stato è venuto il benedetto bambino Gesù, e dopo d’essersi messo fra le mie braccia e [avermi] benedetto con le sue manine, mi ha detto:
“Figlia mia, essendo la razza umana tutta una famiglia, quando uno fa qualche opera buona e mi offre qualche cosa, tutta l’umana famiglia partecipa a quel­l’offerta e mi è presente come se tutti me l’offerissero. Come oggi i Magi, nell’offerirmi i loro doni, io ebbi nelle loro persone presente tutta l’umana generazione, e tutti parteciparono al merito della loro opera buona. La prima cosa che mi offerirono fu l’oro, ed io in contraccambio diedi loro l’intelligenza e la conoscenza della verità; ma sai tu qual è l’oro che voglio adesso dalle anime? Non l’oro materiale, no, ma l’oro spirituale, cioè l’oro della loro volontà, l’oro degli affetti, dei desideri, dei propri gusti, l’oro di tutto l’interno dell’uomo; questo è tutto l’oro che l’anima tiene e lo voglio tutto per me.
Ora per darmi questo, all’anima riesce quasi difficile darmelo senza sacrificarsi e mortificarsi, ed ecco la mirra, che qual filo elettrico lega l’interno dell’uomo e lo rende più risplendente e gli dà la tinta di variopinti colori, dandole all’anima tutte le specie di bellezze.
Ma questo non è tutto, ci vuole chi mantiene sempre vivi i colori, la freschezza che quasi profumo e venticello spira dall’interno dell’anima; ci vuole chi offre e chi ottiene doni maggiori di quelli che dona, come pure ci vuole ancora chi costringe a dimorare nel proprio interno Colui che riceve e Colui che dona e tenerlo in continua conversazione ed in continuo commercio con lui[7]; onde chi fa tutto questo? L’orazione, specie lo spirito d’orazione interiore che sa convertire non solo le opere interne in oro, ma anche le opere esterne: e questo è l’incenso”.
Avendo passato tutto il mese scorso molto sofferente, perciò ho trascurato di scrivere, e continuando a sentirmi molto debole e sofferente mi viene spesso spesso un timore, che non è che non possa scrivere, ma che non voglio e per scusa dico che non posso; è vero che sento molta ripugnanza e devo fare molta forza per scrivere e solo l’ubbidienza poteva vincermi. Onde per togliere qualunque dubbio mi son decisa di non scrivere tutto, ma solo qualche parola che ricordo, per vedere se veramente posso o non posso. Ricordo che un giorno, sentendomi male, [Gesù] mi disse:
“Figlia mia, che sarà se cessa la musica nel mondo?”
Ed io: “Signore, che musica può cessare?”
Ed egli ha soggiunto: “Diletta mia, la tua musica, perché quando l’anima soffre per me, prega, ripara, loda, ringrazia continuamente, è una continua musica al mio udito e mi distoglie dal sentire l’iniquità della terra, e quindi di[8] castigare come si conviene; non solo, ma è musica nelle menti umane e le distorna di fare cose peggiori. Onde se io ti porto, non cesserà la musica? Per me è niente, perché non sarà altro che trasportarla dalla terra al cielo, ed invece d’averla dalla terra l’avrò nel cielo, ma il mondo come farà?”
Ond’io stavo pensando tra me: “Questi sono i soliti pretesti per non portarmi; ci sono tante anime buone nel mondo e che tanto fanno per Dio, e che io fra tutte queste non occupo forse che l’ultimo posto; eppure dice che se mi porta cesserà la musica? Ce ne sono tante che gliela fanno migliore”. Mentre ciò pensavo, come un lampo è venuto ed ha soggiunto:
“Figlia mia, questo che dici è vero, che ci sono molte anime buone e che molto fanno per me, ma quanto è difficile trovare una che mi dia tutto per potermi [io] dare tutto! Chi si ritiene un po’ d’amor proprio, chi la propria stima, chi un affetto fosse pure a persone anche sante, chi una piccola vanità, chi si ritiene un po’ d’attacco alla terra, chi all’interesse; insomma chi una cosetta e chi un’altra, tutti ritengono qualche cosa di proprio, e questo impedisce che tutto sia divino in loro. Onde non essendo tutto divino ciò che esce da loro, non potrà la loro musica produrre quegli effetti al mio udito ed alle menti umane. Quindi il molto loro fare non potrà produrre quegli effetti né così piacermi, come il piccolo fare di chi non ritiene niente per sé e che tutta a me si dona”.
Ricordo che un altro giorno, continuando a sentirmi sofferente, vedevo che il confessore pregava Nostro Signore che mi toccasse dov’io soffrivo per farmi calmare le sofferenze, e Gesù benedetto mi ha detto:
“Figlia mia, il tuo confessore vuole che ti tocchi per farti alleggerire le pene, ma fra tante mie qualità io sono pure dolore, e toccandoti anziché diminuire può crescere il dolore; perché la mia Umanità, nella cosa in che[9] più si dilettò fu il dolore e si diletta ancora di comunicarlo a chi ama”.
E pareva che in realtà mi toccava e facevami sentire più dolore; ond’io ho soggiunto: “Dolce mio Bene, in quanto a me non voglio altro che la tua Santissima Volontà, io non guardo né se mi dolgo né se godo, ma il tuo Volere è tutto per me”.
E lui ha soggiunto: “E questo io voglio ed è la mia mira su di te, e questo mi basta e mi contenta, ed è il culto più grande e più onorevole che mi può rendere la creatura e che mi deve come suo Creatore; e l’anima facendo così, si può dire che la sua mente vive e pensa nella mia mente, i suoi occhi trovandosi nei miei guardano per mezzo degli occhi miei, la sua bocca parla per mezzo della mia bocca, il suo cuore ama per mezzo del mio, le sue mani operano nelle mie stesse mani, i piedi camminano nei miei piedi, ed io posso dire: ‘Tu sei il mio occhio, la mia bocca, il mio cuore, le mie mani ed i miei piedi’. E l’anima può dire viceversa: ‘Gesù Cristo è il mio occhio, la mia bocca, il mio cuore, le mie mani ed i miei piedi’. E l’anima trovandosi in questa unione, non solo di volontà, ma personale, morendo niente le resta da purgare, e quindi il purgatorio non la può toccare, perché il purgatorio tocca quelli che vivono fuori di me, o in tutto o in parte”.
Continuando il solito mio stato più sofferente, è venuto il benedetto Gesù e da tutte le parti della sua Umanità uscivano tanti rivoletti di luce che si comunicavano in tutte le parti del mio corpo; e da questi rivoli che io ricevevo, uscivano da me altrettanti rivoli che si comunicavano all’Umanità di Nostro Signore. In questo mentre mi son trovata circondata da una moltitudine di santi, che guardandomi dicevano tra loro: “Se il Signore non concorre con un miracolo non potrà più vivere, perché le mancano gli umori vitali, il corso del sangue non è più naturale, quindi secondo le leggi naturali deve morire”. E pregavano Gesù benedetto che facesse questo miracolo che io continuassi a vivere, e Nostro Signore ha detto loro:
“Della comunicazione dei rivoli, come vedete, significa che tutto ciò che essa fa, anche le cose naturali, sono identificate con la mia Umanità, e quando io fo giungere l’anima a questo punto, tutto ciò che opera l’anima ed il corpo, niente va disperso, tutto rimane in me; mentre se l’anima non è giunta ad identificarsi in tutto con la mia Umanità, molte opere che fa vanno disperse. Ed avendola fatta giungere a questo punto, perché non posso io portarla?”
Ora mentre ciò dicevano, tra me dicevo: “Pare che tutti mi vanno contro: l’ubbidienza non vuole che io muoia, questi stanno a pregare il Signore che non mi portasse; che cosa vogliono da me? Io non so ché quasi per forza vogliono che stia su questa terra, lontana dal mio sommo Bene”. E tutta m’affliggevo. Mentre ciò pensavo Gesù mi ha detto:
“Figlia mia cara, non volerti affliggere, le cose del mondo vanno tristissime e sempre più peggio[re]ranno; se giunge il punto che debbo dar libero sfogo alla mia giustizia ti porterò, ed allora non ascolterò più nessuno”.
Alla presenza della Santissima Trinità, della Regina Madre Maria Santissima, dell’angelo mio custode e di tutta la corte celeste, e per ubbidire al mio confessore, prometto che[10], se il Signore per sua infinita misericordia mi facesse grazia di morire, quando mi troverò insieme col mio sposo celeste, di pregare ed impetrare il trionfo della Chiesa e la confusione e conversione dei suoi nemici; che nel nostro paese trionfi il partito cattolico e che la chiesa di San Cataldo si mettesse di nuovo in[11] culto; che il mio confessore fosse libero delle sue sofferenze solite, con una santa libertà di spirito e la santità d’un vero apostolo di Nostro Signore e che, se sempre il Signore permette, di mandarmi a lui almeno una volta al mese per conferire le cose celesti e cose appartenenti al bene dell’anima sua. Tanto prometto quanto è da parte mia e lo giuro.
Questa mattina trovandomi nel solito mio stato, quan­do appena ho visto il benedetto Gesù; e vedevo persone che soffrivano ed io pregavo Gesù che le liberasse da quelle sofferenze, anche a costo di soffrire io in vece loro; lui mi ha detto:
“Se vuoi soffrire tu, [fin]tanto che stai vittima, che poi quando la vittima se ne verrà, allora vedranno il vuoto che sentiranno quelli che ti circondano, il proprio paese ed anche i regni! Oh, come conosceranno allora, con la perdita, il gran bene che io avevo dato loro, dando loro una vittima!”
Avevo dimenticato di dire quanto sto per scrivere, che ora per ubbidienza ridico, sebbene non sono cose certe, ma dubbie, perché mancava la presenza di Nostro Signore.
Mi trovavo fuori di me stessa e pareva che mi trovavo dentro d’una chiesa dove stavano parecchi sacerdoti venerandi, ed unite anime del purgatorio e persone sante che stavano discorrendo tra loro sopra la chiesa di San Cataldo, e dicevano quasi con una certezza che si avrebbe ottenuto[12], ed io sentendo ciò ho detto: “Come può essere ciò? L’altro giorno correva voce che il ‘capitolo’ aveva perduto la causa, onde per mezzo del tribunale non si è potuto ottenere, il municipio non la vuol dare, e voi dite che si deve ottenere?” E quelli hanno soggiunto: “Ad onta di tutte queste difficoltà, pure non è perduta, ed anche a giungere a mettere mano per atterrarla, pure non si potrà dire perduta, perché San Cataldo si saprà ben difendere il suo tempio; ma però povero Corato se a ciò giungeranno!” Ma mentre ciò dicevano hanno ripetuto: “Sono state portate le prime robe, l’Incoronata è già trasportata alla casa sua, va tu innanzi alla Madonna e pregala che avendo incominciato la grazia la compisse”. Io sono uscita da quella chiesa per andare a pregare, ma mentre ciò facevo mi son trovata in me stessa.
Marzo 4, 1904   (23)
Trovandomi molto afflitta e sofferente per la perdita del mio buono Gesù, quando appena l’ho visto mi ha detto:
“Figlia mia, l’anima tua deve cercare di tenere il volo dell’aquila, cioè soggiornare in alto, sopra tutte le cose basse di questa terra, e tant’alto che nessun nemico la possa offendere, perché chi vive in alto può offendere i nemici, ma non già essere offesa. E non solo deve vivere in alto, ma deve cercare di tenere purezza ed acutezza d’occhi simili a quelli dell’aquila, la quale sebbene vive in alto, pure coll’acutezza della sua vista penetra le cose divine, non di passaggio, ma masticandole fino a farne suo cibo prediletto, disgustando qualunque altra cosa, come pure penetra le necessità del prossimo e non teme di scendere fra loro e far loro del bene, e se occorre vi mette la propria vita. E con la purezza della vista, di due ne fa uno: l’amore di Dio e l’amore del prossimo, rettificando tutto per Dio. Tale dev’essere l’anima se vuole piacermi”.
Marzo 5, 1904   (24)
Questa mattina sentendomi[13] molto sofferente, coll’ag­giunta della sua privazione; onde dopo avere molto stentato, appena per pochi istanti è venuto e mi ha detto:
“Figlia mia, le sofferenze, le croci sono come tante citazioni che io invio alle anime; se l’anima accetta queste citazioni, sia che siano citazioni che avvisano l’ani­ma a pagare qualche debito, sia che sia avviso per fare qualche acquisto per la vita eterna, se l’anima mi risponde col rassegnarsi alla mia Volontà, col ringraziarmi, coll’adorare le mie sante disposizioni, ci mettiamo subito in accordo e l’anima eviterà tanti inconvenienti che corrono: d’essere citata di nuovo, di mettere avvocati, farne la causa e di subire la condanna del giudice. Solo rispondere alla citazione con la rassegnazione e con il ringraziamento supplirà a tutto questo, perché la croce le sarà citazione, avvocato e giudice, senz’altro bisogno per prendere possesso del regno eterno. Se poi non accetta queste citazioni, pensalo tu stessa in quanti abissi di sciagure, d’impicci si getta l’anima, e qual sarà il rigore del giudice nel condannarla per avere sfuggito la croce per giudice tanto più mite, più compassionevole, più inclinato ad arricchirla anziché giudicarla, più intento ad abbellirla anziché condannarla”.
Marzo 12, 1904   (25)
Essendo malata Luisa, le ho imposto che ella dettasse; non potendo disubbidire ha dettato quanto segue, in grande ripugnanza:
“Essendomi lamentata con Nostro Signore ché sentendomi sofferente, pure non mi portava in cielo, il benedetto Gesù mi ha detto:
‘Figlia mia, coraggio nel soffrire, non voglio che ti avvilisca nel non vederti ancora portata in cielo. Devi sapere che tutta l’Europa sta sulle tue spalle, e l’esito o buono o cattivo per l’Europa pende dalle tue sofferenze. Se tu sarai forte e costante nel patire, le cose succederanno più sopportabili; se tu non sarai forte e costante nel patire, oppure [se] io ti porto in cielo, saranno tanto gravi che [l’Europa] minaccerà[14] di essere invasa ed impadronita dagli stranieri’.
Anzi, aggiunse che: ‘Se tu rimarrai in terra e soffrirai assai con desiderio e costanza, tutto quel che succederà di castighi in Europa, servirà per far venire il trionfo della Chiesa. E se ad onta di tutto questo l’Europa non profitterà e resterà ostinata al peccato, le tue sofferenze serviranno come preparativo alla tua morte senza che l’Europa se ne sia profittata[15]”.
[F.to:] Sac.te Gennaro De Gennari.
Marzo 14, 1904   (26)
Trovandomi nel solito mio stato, dopo molto stentare il benedetto Gesù è uscito da dentro il mio interno, e volendo io parlare mi ha messo il dito alla bocca, dicendomi:
“Taci, taci”.
Io sono restata mortificatissima e non ho avuto più ardire di aprire la bocca, ed il benigno Gesù vedendomi così mortificata ha soggiunto:
“Figlia mia carissima, la necessità dei tempi porta il silenzio, ché se tu mi parli, la tua parola lega le mie mani e mai vengo ai fatti di castigare come si conviene e siamo sempre da capo, quindi è necessario che tra te e me abbia luogo per qualche tempo il silenzio”.
E mentre ciò diceva, è uscito un cartello in cui stava scritto:
“È decretato flagelli, pene e guerre”. Ed è scomparso.
Marzo 16, 1904   (27)
Questa mattina trovandomi fuori di me stessa, mi son trovata sopra d’una persona che teneva l’aspetto come se fosse vestita come una pecora, ed io ero portata sopra le sue spalle, ma andava a lento passo; innanzi vi andava una specie di macchina più veloce, ed io nel mio interno ho detto: “Questa va lento[16], vorrei andare dentro di quella macchina che cammina più veloce”. Non so il perché, appena pensato mi sono trovata dentro là con quelli; e questi mi hanno detto: “Che hai fatto, come hai lasciato il Pastore? E qual Pastore! che essendo la sua vita nei campi, sono sue tutte le erbe medicinali, nocive e salutari, e stando con lui si può stare sempre di buona salute, e se lo vedi vestito a modo di pecora, è per rendersi simile alle pecore facendole appressare a lui senza nessun timore, e sebbene va a lento passo, però è più sicuro”. Io nel sentire ciò ho detto nel mio interno: “Una volta che è così, lo vorrei per dirgli qualche cosa della mia malattia”. Mentre ciò pensavo me lo sono trovato vicino a me, ed io tutta contenta mi sono fatta vicina all’orecchio e gli ho detto: “Pastore buono, se siete tanto peritissimo datemi qualche rimedio ai miei mali, io mi trovo in questo stato di sofferenze”. E volendo dire di più, mi ha troncato la parola in bocca col dirmi:
“La vera rassegnazione, non fantastica, non mette a scrutinio le cose, ma adora in silenzio le divine disposizioni”.
E mentre ciò diceva, pareva che si rompesse la pelle di lana e vedevo là il volto di Nostro Signore e la sua testa coronata di spine. Io nel sentirmi dire ciò non sapevo più che dire, me ne stavo in silenzio, contenta di stare insieme con lui; e lui ha soggiunto:
“Tu hai dimenticato di dire al confessore un’altra cosa sopra la croce”.
Ed io: “Adorabile mio Signore, io non mi ricordo, ripetetemela e la dirò”.
E lui: “Figlia mia, tra tanti titoli che tiene la croce, tiene il titolo d’un dì festivo; perché quando si riceve un dono, che cosa succede? Si fa festa, si gioisce, si sta più allegra; or la croce essendo dono più prezioso, più no­bile e fatta[17] dalla persona più grande ed unica che esiste, riesce più gradito e porta più festa, più gaudio di tutti gli altri doni. Onde tu stessa puoi dire qual altri titoli si può dare alla croce”.
Ed io: “Come voi dite, si può dire che la croce è festante, giubilante, gaudente, desiderante”.
E lui: “Bene, bene hai detto, ma però giunge l’anima a sperimentare questi effetti della croce quando è perfettamente rassegnata alla mia Volontà ed ha donato tutta sé stessa a me, senza ritenersi niente per sé, ed io per non farmi vincere in amore dalla creatura le dono tutto me stesso, e nel donare me stesso vi dono anche la mia croce, e l’anima riconoscendola per mio dono ne fa festa e gode”.
Marzo 20, 1904   (28)
Questa mattina mi sentivo tutta scoraggiata ed avvelenita per la perdita del mio adorabile Gesù, e mentre me ne stavo in questo stato, [Gesù] ha fatto sentire la sua dolcissima voce che mi diceva:
“Figlia mia, tutte le cose hanno origine dalla fede. Chi sta forte nella fede sta forte nel patire; la fede fa trovare Dio in ogni luogo, lo fa scorgere in ogni azione, lo tocca in ogni movimento, ed ogni nuova occasione che si presenta è una nuova rivelazione divina che riceve. Perciò statti forte nella fede, ché se starai forte in questo in tutti gli stati e vicende, la fede ti somministrerà la fortezza e ti farà stare sempre unita con Dio”.
Aprile 9, 1904   (29)
Dovendo fare questa mattina la comunione, stavo pensando tra me: “Che dirà il mio benedetto Gesù quan­do verrà nell’anima mia? Dirà: ‘Quanto è brutta quest’a­nima, cattiva, fredda, abominevole!’ Quanto presto farà consumare le specie per non stare a contatto con questa così brutta. Ma che vuoi da me? Ad onta che sono così cattiva, pure dovete avere pazienza a venire, perché in tutti i modi mi sei necessario e non ne posso fare a meno”. In questo mentre è uscito da dentro il mio interno e mi ha detto:
“Figlia mia, non volerti affliggere per questo, non ci vuol niente per rimediarvi, basta un atto perfetto di rassegnazione alla Volontà mia per poter restare purgato da tutte queste bruttezze che tu dici, ed io ti dirò il contrario di quello che tu pensi; ti dirò: ‘Quanto sei bella, sento il fuoco del mio amore in te ed il profumo dei miei odori, con te voglio fare la mia perpetua dimora”. Ed è scomparso.
Onde essendo venuto il confessore gli ho detto tutto, il quale mi ha detto che non andavo bene, ché il dolore purga l’anima, e che la rassegnazione non ci entrava in questo. Quindi dopo avere fatto la comunione ho detto: “Signore, il padre mi ha detto che non va bene quello che mi avete detto, spiegatevi meglio e fatemi conoscere la verità”. E lui benignamente ha soggiunto:
“Figlia mia, quando si tratta di peccato volontario, allora ci vuole il dolore, ma quando si tratta d’imperfezio­ni, di debolezze, di freddezze ed altro, e che l’anima non ci ha messo niente del suo, allora basta un atto di perfetta rassegnazione, e se occorre anche di questo stato, per restare purgato, perché l’anima nel fare quest’atto, prima s’incontra con la Volontà Divina [che] purga la volontà umana e l’abbellisce delle sue qualità, e poi s’im­medesima con me”.
Aprile 10, 1904   (30)
Questa mattina, trovandomi col timore che il benedetto Gesù vedendomi ancora così cattiva mi avesse lasciato, me lo sono sentito uscire da dentro il mio interno e mi ha detto:
“Figlia mia, perché ti occupi in pensieri inutili ed in cose che non ci sono? Sappi che hai tre titoli innanzi a me che come tre funicelle mi legano dappertutto e mi stringono più intimamente a te in modo che non posso lasciarti, e sono: sofferenze assidue, riparazione perpetua, amore perseverante. Se tu come creatura sei continua in questo, forse il Creatore sarà di meno della creatura o si farà vincere da essa? Questo non è possibile”.
Aprile 11, 1904   (31)
Continuando il solito mio stato, dopo avere molto stentato, quando appena ho visto il mio adorabile Gesù, mi ha detto:
“Tu che tanto mi volevi, che cosa vuoi, che più t’im­porta?”
Ed io: “Signore, niente io voglio, quello che più m’im­porta è voi solo”.
E lui ha ripetuto: “Come, non vuoi niente? Chiedimi qualche cosa: la santità, la grazia mia, le virtù, che io tutto ti posso dare”.
Ed io di nuovo ho detto: “Niente, niente, voglio voi solo e quello che volete voi”.
E di nuovo ha soggiunto: “Dunque non vuoi più niente? Me solo ti basto? I tuoi desideri, non altra vita tengono in te che di me solo? Quindi tutta la tua fiducia de­v’essere in me solo, ché ad onta che non vuoi niente otterrai tutto”.
E senza darmi più tempo, come lampo è scomparso. Ond’io sono restata molto dispiaciuta, specie che per quanto lo chiedevo, non ritornava, onde pensavo tra me: “Io non voglio niente, non penso, non mi curo che di lui solo, e lui pare che non si briga di me; non so come il suo buon cuore può giungere a tanto”. E tant’altri spropositi che dicevo. Ora in questo mentre è ritornato e mi ha detto:
“Grazie, grazie. Qual è più, quando il Creatore ringra­zia la creatura o quando la creatura ringrazia il Creatore? Or sappi che quando tu mi aspetti e stento a venire, io ringrazio te; quando vengo subito, tu sei obbligata a ringraziare me. Onde ti pare niente che il tuo Creatore ti dia l’occasione come poter restare obbligato a te e ringraziarti?”
Io sono restata tutta confusa.
Aprile 12, 1904   (32)
Questa mattina mi sentivo turbata per l’assenza del benedetto Gesù, onde dopo avere molto stentato, quando appena l’ho visto mi ha detto:
“Figlia mia, quando un fiume sta esposto ai raggi del sole, guardandosi dentro si vede lo stesso sole che sta in cielo, ma questo succede quando il fiume è calmo, senza che nessun vento turbi le acque; ma se le acque stanno turbate, ad onta che il fiume sta tutto esposto al sole, niente si vede, tutto è confusione. Così l’anima quando sta esposta ai raggi del sole divino, se è calma avverte il sole divino in sé stessa, sente il calore, vede la luce ed intende la verità; ma se è turbata, ad onta che lo tiene in sé stessa non prova altro che confusione e turbamento. Perciò tieniti la pace come il più grande tesoro, se ti sta a cuore di starti unita con me”.
Aprile 14, 1904   (33)
Continuando il mio solito stato, ma sempre con immensa amarezza nell’anima mia per la privazione del benedetto Gesù, ed al più viene quando più non posso e dopo che quasi mi sono persuasa che più non verrà. Onde quando appena l’ho visto che portava in mano un calice, mi ha detto:
“Figlia mia, se oltre al cibo dell’amore mi dai il pane della tua pazienza, perché l’amore paziente e sofferente è cibo più solido, più sostanzioso e corroborante - che se l’amore non è paziente si può dire che è amore vacuo, leggero e senza nessuna sostanza, onde si può dire che mancano le materie necessarie per formare il pane della pazienza - quindi se tu mi dai questo io ti darò il pane dolce della grazia”.
E mentre ciò diceva mi ha dato a bere ciò che stava dentro del calice che portava in mano, che pareva dolce, come una specie di liquore che non so distinguere, ed è scomparso.
Dopo ciò vedevo intorno al mio letto tante persone forestiere: sacerdoti, galantuomini, donne, che pareva che dovevano venire a trovarmi; parecchi di questi tali dicevano al confessore: “Dateci conto di quest’anima, di tutto ciò che il Signore le ha manifestato, le grazie che le ha fatto, perché ce l’ha manifestato il Signore fin dal 1882 che sceglieva una vittima; ed il segno di questa vittima sarebbe che il Signore l’avrebbe mantenuta sempre in questo stato come ragazza, tale quale come quan­do la scelse, senza invecchiarsi o cambiarsi la stessa natura”.
Ora mentre ciò dicevano, non so come, io vedevo me stessa tale e quale come quando mi coricai nel letto, senza che mi fossi in niente cambiata per essere stata per tanti anni in questo stato di sofferenze.
Aprile 16, 1904   (34)
Continuando il mio solito stato mi son trovata fuori di me stessa e vedevo una moltitudine di genti, ed in mezzo a queste si sentivano rumori di bombe e schioppettate, e le persone cadevano morte e ferite; quelli che restavano fuggivano sopra d’un palazzo là vicino, ma i nemici salivano sopra e con più sicurezza li uccidevano, di quelli che rimanevano all’aperto. Ond’io dicevo tra me: “Quanto vorrei vedere se ci sta il Signore tra queste genti per dirgli: ‘Avete[18] misericordia, pietà di questa povera gente”.
Quindi ho girato e rigirato e l’ho visto piccolo bambinello, ma a poco a poco si andava ingrandendo, finché [è] giunto ad età perfetta; ond’io mi sono avvicinata e gli ho detto: “Amabile Signore, non vedete la tragedia che succede? Non volete far più uso della misericordia, volete forse tenere inutile questo attributo che sempre ha glorificato con tanto onore la vostra Divinità incarnata, facendovi una speciale corona al vostro augusto capo ed imperlandovi una seconda corona da voi tanto voluta ed amata, quali sono le anime?” Ora mentre ciò dicevo, lui mi ha detto:
“Basta, basta, non andare più oltre, tu vuoi parlare di misericordia, e della giustizia che ne faremo? L’ho detto e te lo dico: ‘È necessario che la giustizia abbia il suo corso”.
Dunque ho ripetuto: “Non c’è rimedio, ed a che pro lasciarmi su questa terra quando non posso più placarvi e soffrire io invece del mio prossimo? Quando è così, meglio che mi fate morire”. In questo mentre vedevo un’altra persona dietro le spalle di Gesù benedetto, e mi ha detto quasi facendomi cenno con gli occhi: “Presentati al mio Padre e vedi che cosa ti dice”. Io mi sono presentata tutta tremante, il quale appena vista mi ha detto:
“Che vuoi, che sei venuta da me?”
Ed io: “Bontà adorabile, misericordia infinita, sapendo che voi siete la stessa misericordia sono venuta a chiedervi misericordia, misericordia per le vostre stesse immagini, misericordia per le opere da voi create, misericordia non per altre, ma per le stesse vostre creature”. E lui mi ha detto:
“Dunque è misericordia che tu vuoi; ma se vuoi vera misericordia, la giustizia dopo che si sarà sfogata produrrà grandi ed abbondanti frutti di misericordia”.
Onde non sapendo più che dire, ho detto: “Padre infinitamente santo, quando i servi, i bisognosi si presentano ai padroni, ai ricchi, [questi] se sono buoni, se non danno tutto ciò che è loro necessario, danno loro sempre qualche cosa; ed io che ho avuto il bene di presentarmi da voi, padrone assoluto, ricco senza termine, bontà infinita, niente volete dare a questa poverella di quello che vi ha chiesto? Non resta forse più onorato e contento il padrone quando dà, che quando nega ciò che è necessario ai suoi servi?” Dopo un momento di silenzio ha soggiunto:
“Per amor tuo, invece di far per dieci farò per cinque”.
Detto ciò sono scomparsi, ed io vedevo in più parti della terra e specie dell’Europa moltiplicarsi guerre, guerre civili e rivoluzioni.
Aprile 21, 1904   (35)
Continuando il mio solito stato, sentivo intorno al mio letto persone che pregavano Nostro Signore; io non badavo a sentire che cosa volevano, badavo solo che Gesù benedetto, era tardi e non si faceva vedere ancora. Oh, come si straziava il mio cuore temendo che non ve­nisse affatto, e dicevo tra me: “Signore benedetto, siamo già all’ultima ora e non ci vieni ancora? Deh, non darmi questo dispiacere, fatti vedere solamente, almeno”. Men­tre ciò dicevo è uscito da dentro il mio interno ed ha detto a quelli che stavano a me d’intorno:
“Lottare con la mia giustizia non è lecito alle creature, ma solo è lecito a chi tiene il titolo di vittima, non solo di lottare, ma di giocare con la giustizia; e questo perché nel lottare o giocare, facilmente si ricevono i col­pi, le sconfitte, le perdite, e la vittima è pronta a ricevere sopra di sé i colpi, rassegnarsi nelle sconfitte e perdite senza che badi alle sue perdite, alle sofferenze, ma solo alla gloria di Dio ed al bene del prossimo. Se io mi volessi placare, ho qui la mia vittima che è pronta a lottare ed a ricevere sopra di sé tutto il furore della mia giustizia”.
Si vede che stavano pregando per placare il Signore; io sono lasciata[19] mortificata e più amareggiata nel sentire ciò da Nostro Signore.
Aprile 26, 1904   (36)
Questa mattina, trovandomi fuori di me stessa, mi sono trovata col bambino Gesù in braccia, circondata da varie persone divote, sacerdoti, molte delle quali intente alla vanità, al lusso ed alla moda, e pareva che dicevano tra loro quel detto antico: “L’abito non fa monaco”. Il benedetto Gesù mi ha detto:
“Diletta mia, oh, quanto mi sento defraudato della glo­ria che mi deve la creatura e con tanta sfacciataggine mi nega, e fin dalle persone che si dicono devote!”
Io nel sentire ciò ho detto: “Carino del mio cuore, recitiamo tre Gloria Patri mettendo l’intenzione di dare tutta quella gloria che deve la creatura alla vostra Divinità, così riceverete almeno una riparazione”.
E lui: “Sì, sì, recitiamoli”.
E li abbiamo recitati insieme, poi abbiamo recitato un’Ave Maria, mettendo pure l’intenzione di dare alla Regina Madre tutta quella gloria che le devono le creature. Oh, come era bello pregare col benedetto Gesù! Mi trovavo così bene che ho soggiunto: “Diletto mio, quanto vorrei fare la professione di fede nelle vostre mani col recitare insieme con voi il Credo”.
E lui: “Il Credo lo reciterai tu sola, perché a te spetta, non a me, e lo dirai a nome di tutte le creature per darmi più gloria ed onore”.
Ond’io ho messo le mie mani nelle sue ed ho recitato il Credo; dopo ciò il benedetto Gesù mi ha detto:
“Figlia mia, pare che mi sento più sollevato, ed allontanata quella nube nera dell’ingratitudine umana, specie delle [anime] divote. Ah, figlia mia, l’azione esterna ha tanta forza di penetrare nell’interno, da formare una veste materiale all’anima, e quando il tocco divino la tocca, non lo sentono vivo perché hanno [con] la veste fan­gosa investita l’anima, e non sentendo la vivacità della grazia, la grazia o viene respinta o resta infruttuosa. Oh, quanto è difficile godere piaceri, vestire di lusso esternamente e disprezzarli internamente! Anzi succede il contrario, cioè d’amare nell’interno e di godere di ciò che esternamente ci circonda. Figlia mia, considera tu stessa quale n’è il dolore del mio cuore in questi tempi, vedere la mia grazia respinta da tutta[20] specie di gente, mentre tutta la mia consolazione è il soccorrere le creature, e tutta la vita delle creature è l’aiuto divino, e le creature mi respingono indietro il mio soccorso ed il mio aiuto. Entra tu a parte del mio dolore e compatisci le mie amarezze”.
Detto ciò è scomparso, restando [io] tutta afflitta per le pene del mio adorabile Gesù.
Aprile 29, 1904   (37)
Continuando il mio solito stato, mi sono trovata circondata da tre vergini, le quali prendendomi mi volevano a viva forza crocifiggermi sopra d’una croce, ed io siccome non vedevo il benedetto Gesù, temendo, facevo resistenza, e quelle vedendo la mia resistenza mi hanno detto:
“Sorella carissima, non temere che non c’è il nostro sposo, lascia che ti incominciamo a crocifiggere, che il Signore tirato dalla virtù delle sofferenze verrà; noi veniamo dal cielo e siccome abbiamo visto mali gravissimi che stanno per succedere in Europa, per fare che almeno succedessero più miti siamo venute a farti soffrire”. In questo mentre mi hanno trapassato coi chiodi le mani ed i piedi, ma con tal crudeltà di dolore che mi sentivo morire. Ora mentre soffrivo è venuto il benedetto Gesù, che guardandomi con occhio severo mi ha detto:
“Chi ti ha comandato di metterti in queste sofferenze? Dunque a che cosa tu mi servi? A non poter essere neppure libero di fare quel che voglio e ad essere [tu] un continuo intoppo alla mia giustizia?”
Io nel mio interno dicevo: “Che vuol da me, io neppure volevo, sono state loro che mi hanno indotto e se la prende con me”. Ma non potevo parlare per l’acerbità del dolore; quelle vergini vedendo la severità di Nostro Signore, più mi facevano soffrire tirando e rimettendo di nuovo i chiodi, e mi avvicinavano a lui mostrando le mie sofferenze; e quanto più soffrivo, più il Signore pareva che si mitigasse, e quando l’hanno visto più mitigato e quasi intenerito del mio soffrire, mi hanno lasciato e se ne sono andate lasciandomi sola con Nostro Signore. Onde lui stesso mi assisteva e sosteneva, e vedendomi soffrire per rincorarmi mi ha detto:
“Figlia mia, la mia vita si manifesta nelle creature con le parole, con le opere e con le sofferenze, ma quelle che la manifestano più chiara sono le sofferenze”.
In questo mentre è venuto il confessore per chiamarmi all’ubbidienza; e parte per le sofferenze, parte che il Signore non mi lasciava, non potevo ubbidire. Onde mi sono lamentata col mio Gesù col dirgli: “Signore, come si trova il confessore a quest’ora? Giusto adesso doveva venire?”
E lui: “Figlia mia, lascialo che stia un poco con noi e che partecipi anche alle mie grazie. Quando uno continuamente frequenta una casa, partecipa al pianto ed al riso, alla povertà ed alle ricchezze. Così è del confessore; non ha partecipato alle tue mortificazioni e privazioni? Ora partecipa alla mia presenza”.
Quindi pareva che gli partecipava la fortezza divina dicendogli:
“La vita di Dio nell’anima è la speranza, e per quanto speri, tanto di vita divina contieni in te stesso; e siccome la vita divina contiene potenza, sapienza, fortezza, amore ed altro, così l’anima si sente innaffiare come da tanti ruscelli [per] quante sono le virtù divine, e la vita divina cresce sempre in te stesso. Ma se non speri, tanto nello spirituale e dallo spirituale ne parteciperà anche il corporale, la vita divina si andrà consumando e fino a spegnersi del tutto; perciò spera, spera sempre”.
Onde a stento ho fatto la comunione, e dopo mi sono trovata fuori di me stessa e vedevo tre uomini in forma di tre cavalli indomiti che si sfrenavano nell’Europa facendo tanta strage di sangue, e pareva che volevano, co­me dentro d’una rete, la maggior parte dell’Europa coin­volgerla in guerre accanite; tutti tremavano alla vista di questi diavoli incarnati e molti ne restavano distrutti.
Maggio 1, 1904   (38)
Trovandomi nel solito mio stato, stavo pensando a Nostro Signore quando giunto sul monte Calvario fu spogliato del tutto ed amareggiato di fiele, e lo pregavo dicendogli: “Adorabile mio Signore, non veggo in te che veste di sangue abbigliata da piaghe, e per gusto e piacere amarezze di fiele, e per onore e gloria confusione, obbrobri e croci. Deh, non permettere che dopo che hai tanto tu sofferto, che io non guardi le cose di questa terra che come sterco e fango! Che non mi prenda altro piacere che in te solo, e che tutto il mio onore non sia altro che la croce”. E lui facendosi vedere mi ha detto:
“Figlia mia, se tu facessi diversamente perderesti la purità dell’occhio, che facendosi un velo alla vista perderesti il bene di vedermi, perché quell’occhio che si bea delle sole cose del cielo tiene la virtù di vedermi, e chi si bea delle cose della terra tiene la virtù di vedere le cose della terra, perché l’occhio vedendole diversamente da quel che sono, le vede e le ama”.
Maggio 28, 1904   (39)
Continuando il solito mio stato e stando con somma amarezza per le continue privazioni del mio adorabile Gesù, quando appena si è fatto vedere dicendomi:
“Figlia mia, la prima mina che si deve minare[21] nel­l’interno dell’anima è la mortificazione, e quando questa mina si getta nell’anima, atterra tutto ed immola tutto a Dio; perché nell’anima ci sono come tanti palazzi, ma tutti di vizi, come sarebbe l’orgoglio, la disubbidienza, con tant’altri vizi, e la mina della mortificazione atterrando tutto vi riedifica tanti altri palazzi di virtù, immolandoli e sacrificandoli tutti alla gloria di Dio”.
Detto ciò è scomparso, e dopo poco è venuto il demonio che voleva molestarmi solo, ed io senza prendere paura gli ho detto: “A che pro molestarmi, quando tu sei un altro[22]? Per farti vedere più bravo prendi un bastone e battimi fino a non farmi lasciare neppure una goccia di sangue, intendendo però che ogni goccia di sangue che spargo sia un attestato di più d’amore, di riparazione e di gloria che intendo di dare al mio Dio”.
E quello: “Non me ne trovo bastoni da poterti battere e se vado a prenderlo tu non mi aspetti”.
Ed io: “Va pure, che qui ti aspetto”. E così se n’è andato, restando io con la ferma volontà d’aspettarlo, quando con mia sorpresa ho visto che essendosi incontrato con un altro demonio, andavano dicendo: “È inutile che ritorniamo, a che pro battere quando deve servire a nostro danno e con nostra perdita? È buono far soffrire a chi non vuole soffrire, perché quello offende Dio, ma chi vuole soffrire, ci facciamo male con le nostre mani”. E così non è più ritornato, restando io mortificata.
Maggio 30, 1904   (40)
Trovandomi nel solito mio stato, stavo pensando ed offerendo la passione di Nostro Signore, specie la corona[zione] di spine, e lo pregavo che desse lume a tante menti accecate, che si facesse conoscere ché è impossibile conoscerti e non amarti. Mentre questo dicevo, il mio adorabile Gesù è uscito da dentro il mio interno e mi ha detto:
“Figlia mia, quanta rovina fa nelle anime la superbia! Basta dirti che vi forma un muro di divisione tra la creatura e Dio, e da mie immagini le trasforma in demoni. E poi se tanto ti duole e ti dispiace che le creature siano tanto accecate, che loro stesse non capiscono né veggono il precipizio in cui si trovano, e tanto ti sta a cuore che io le aiuti, la mia passione serve come veste al­l’uomo, che gli copre le più grandi miserie, lo abbellisce e gli rende tutto il bene che per il peccato si era tolto e [aveva] perduto; ond’io te ne faccio un dono acciocché te ne serva per te e per chi vuoi tu”.
Nel sentire ciò mi è venuto un tal timore vedendo la grandezza del dono e temendo che non sapessi utilizzare questo dono e quindi dare dispiacere allo stesso donatore, onde ho detto: “Signore, non mi sento la forza d’ac­cettare tal dono, sono troppo indegna di tal favore, meglio tenetelo voi che il Tutto siete e tutto conoscete a chi è necessario e conviene applicare questa veste così preziosa e d’immenso valore, che io poveretta che cosa potrò conoscere? E se è necessario applicarla a qualcuno ed io non lo faccio, qual conto stretto non chiederete?”
E Gesù: “Non temere, lo stesso donatore ti darà la grazia di non tenere inutile il dono che ti ha dato; credi tu che io ti faccio un dono per farti danno? Non mai”.
Ond’io non ho saputo che rispondere, ma sono restata spaventata e sospesa, riserbandomi di sentire come la pensava la signora ubbidienza. S’intende però che questa veste altro non vuole significare che tutto ciò che operò, meritò e patì Nostro Signore, dove la creatura tro­va la veste per coprirsi la nudità spogliata di virtù, le ric­chezze per arricchirsi, le bellezze per rendersi bella ed abbellirsi, ed il rimedio a tutti i suoi mali. Onde avendolo detto all’ubbidienza, mi ha detto che l’accettassi.
Giugno 3, 1904   (41)
Questa mattina siccome non veniva il benedetto Gesù, mi sentivo tutta oppressa e stanca, onde essendo venuto mi ha detto:
“Figlia mia, non volerti stancare nel soffrire, ma fa come se in ogni ora incominciassi a soffrire, perché chi si lascia dominare dalla croce distrugge nell’anima tre regni cattivi che sono: il mondo, il demonio e la carne, e vi costituisce altri tre regni buoni che sono: il regno spirituale, il divino e l’eterno”.
Ed è scomparso.
Giugno 6, 1904   (42)
Continuando il mio solito stato, [Gesù] per poco si faceva vedere da dentro il mio interno, prima lui solo e poi tutte e tre le Divine Persone, ma tutte in profondo silenzio, ed io continuavo alla loro presenza il mio solito lavorio interno, e pareva che il Figlio si unisse con me ed io non facevo altro che seguirlo, ma tutto era silenzio e non altro si faceva in questo silenzio che immedesimarsi con Dio, e tutto l’interno, affetti, palpiti, desideri, respiri, diventavano profonde adorazioni alla Maestà Su­prema. Onde dopo aver passato qualche poco in questo stato, pareva che tutte e Tre parlavano, ma una voce sola formava, e mi hanno detto:
“Figlia diletta nostra, coraggio e fedeltà ed attenzione somma nel seguire ciò che la Divinità opera in te, perché tutto quello che fai non lo fai tu, ma non fai altro che dare la tua anima per abitazione alla Divinità. Succede a te come ad una povera che avendo un piccolo tugurio, il re lo chiede per abitazione, e quella lo dà e fa tutto ciò che vuole il re; onde abitando il re quel piccolo tugurio, contiene ricchezze, nobiltà, gloria e tutti i beni, ma di chi sono? Del re, e se il re lo vuole lasciare, alla povera che cosa le rimane? Le rimane sempre la sua povertà”.
Giugno 10, 1904   (43)
Continuando il mio solito stato, quando appena è venuto il mio adorabile Gesù tutto mesto e dolente mi ha detto:
“Ah, figlia mia, se l’uomo conoscesse sé stesso, oh, come si guarderebbe dal macchiarsi, perché è tale e tanta la bellezza, la nobiltà, la speciosità, che tutte le bellezze e diversità delle cose create in sé raduna; e questo ché essendo create tutte le altre cose della natura per servizio dell’uomo e l’uomo doveva essere superiore a tutte, quindi per essere superiore doveva radunare in sé tutte le qualità delle altre cose create. Non solo, ma essendo create le altre cose per l’uomo e l’uomo solo per Dio e per sua delizia, di conseguenza avveniva che non solo doveva radunare in sé tutto il creato, ma doveva superarlo fino a ricevere in sé l’immagine della Maestà Suprema. E l’uomo ad onta di tutto questo, non curando tutti questi beni non fa altro che lordarsi delle più brutte sporcizie”.
Ed è scomparso. Ond’io comprendevo che succede a noi come ad una povera, che avendo ricevuto una veste d’oro tessuto, arricchita di gemme e di pietre preziose, siccome non se ne intende, non ne conosce il valore, la tiene esposta alla polvere, l’infanga facilmente e la tiene in conto d’una veste ruvida e di poco costo, dimodoché se le viene tolta, poco o nessun dispiacere ne soffre. Tale è la nostra cecità riguardo a noi stessi.
Giugno 15, 1904   (44)
Trovandomi nel solito mio stato, quando appena è venuto [Gesù] e mi ha detto:
“Figlia diletta mia, mi è tanto cara la creatura e l’amo tanto, che se la creatura lo comprendesse le scoppierebbe il cuore d’amore; e questo è tanto vero che nel crearla non la feci altro che un piccolo recipiente ripieno di dose[23] di tutte le particelle divine; dimodoché di tutto l’Essere mio, attributi, virtù, perfezioni, l’anima ne contiene tante piccole particelle di tutti, secondo la capacità da me datale, e questo acciocché potessi trovare in lei altrettante piccole note corrispondenti alle mie note e così potere perfettamente deliziarmi e scherzare con lei. Ora [da] questo piccolo recipiente ripieno di divino, quando l’anima tratta le cose materiali e le fa entrare dentro, vi scorre fuori qualche cosa di divino e vi entra a prendere posto qualche cosa di materia; quale affronto ne riceve la Divinità e quale danno l’anima!
Quale attenzione ci vuole, se per necessità le conviene trattare [le cose materiali], per non farle entrare dentro? Tu figlia sta attenta, altrimenti se veggo in te cosa che non sia divina io non mi faccio più vedere”.
Giugno 17, 1904   (45)
Questa mattina il benedetto Gesù dopo molto stentare è venuto e mi ha detto:
“Figlia mia, vedi quante cose si dicono di virtù, di perfezione, ma però vanno a finire tutte ad un solo pun­to, cioè nella consumazione della volontà umana nella Divina. Sicché chi più è consumato in questa si può dire che contiene tutto ed è più perfetto di tutti, perché tutte le virtù ed opere buone sono tante chiavi che ci aprono i tesori divini, ci fanno acquistare più amicizia, più intimità, più commercio con Dio, ma la sola consumazione è quella che ci rende una sola cosa con lui e ci mette nelle nostre mani il divino potere. E questo perché la vita deve avere una volontà per vivere, or [l’anima] vivendo della Volontà Divina, naturalmente si rende padrona”.
Giugno 19, 1904   (46)
Trovandomi nel solito mio stato, mi sentivo il mio adorabile Gesù a me vicino che diceva:
“Figlia mia, in che passo doloroso sta per entrare la Chiesa! Ma tutta la gloria in questi tempi è di quegli spiriti atletici, che non curando ceppi, catene e pene, non fanno altro che rompere il sentiero spinoso che divide la società e Dio”.
Poi ha soggiunto: “Nell’uomo si vede un’avidità di sangue umano. Lui dalla terra, ed io dal cielo vi concorrerò con terremoti, incendi, uragani, disgrazie, da farne morire in buona parte”.
Giugno 20, 1904   (47)
Dopo avere molto stentato, quando appena è venuto il benedetto Gesù, mi ha detto:
“Figlia mia, è giunta a tanto la perfidia umana, da esaurire da parte sua la mia misericordia; però la mia bon­tà è tanta da costituire le figlie della misericordia, affinché anche da parte delle creature non resti esaurito questo attributo. E queste sono le vittime che stanno in piena padronanza della Volontà Divina per avere distrutto la propria, perché in queste il recipiente da me dato loro nel crearle sta in pieno vigore, ed avendo ricevuto la particella della mia misericordia, essendo figlie, la som­ministrano ad altri. S’intende però che per amministrare la misericordia ad altri si deve trovare essa[24] nella giustizia”.
Ed io: “Signore, chi mai si potrebbe trovare nella giustizia?”
E lui: “Chi non commette peccati gravi e chi si astiene dal commettere peccati veniali leggerissimi, di propria volontà”.
Giugno 29, 1904   (48)
Questa mattina, trovandomi nel solito mio stato, appena si è fatto vedere il mio adorabile Gesù e mi ha detto:
“Figlia mia, il segno quando la mia giustizia non può più sopportare l’uomo e sta in atto di mandare gravi castighi, è quando l’uomo non può più sopportare sé stesso, perché Iddio, respinto dall’uomo, da lui si ritira e fa sentire all’uomo tutto il peso della natura, del peccato e delle miserie, e l’uomo non potendo sopportare il peso della natura senza l’aiuto divino, cerca lui stesso il modo di distruggersi. In tale stato si trova ora la presente generazione”.
Luglio 14, 1904   (49)
I miei giorni si vanno facendo sempre più dolorosi per le quasi continue privazioni del mio adorabile Gesù; io stessa non so perché mi sento divorare l’anima ed anche il corpo da questa separazione. Che lima sorda[25]! Unico e solo mio conforto è la Volontà di Dio, perché se tutto ho perduto, anche Gesù, questa santa e dolcissima Volontà di Dio, sta solo [lei], in mio potere; come pure sentendomi divorare anche il corpo, m’illudo che non porterà tanto a lungo lo scioglimento di esso, perché veggo che me lo sento soccombere, e quindi spero che un giorno o l’altro il Signore mi chiami a sé, e [così] finire questa dura separazione.
Onde stamane, dopo avere stentato, oh, quanto!, quando appena [Gesù] è venuto e mi ha detto:
“Figlia mia, la vita è una consumazione continua: chi la consuma per i piaceri, chi per le creature, chi per peccare, altri per interessi, qualcuno per capricci; ci sono tante specie di consumazione. Ora chi questa consumazione la forma tutta in Dio, può dire con tutta certezza: ‘Signore, la mia vita si è consumata d’amore per te, e non solo mi sono consumata, ma sono morta per solo amor tuo’. Perciò se tu ti senti consumare continuamente per la mia separazione, puoi dire che muori continuamente in me, e tante morti subisci per amor mio. E se tu consumi il tuo essere per me, per quanto è consumazione di te, altrettanto acquisti di divino in te stessa”.
Luglio 22, 1904   (50)
Continuando il mio solito stato, quando appena è venuto il benedetto Gesù e mi ha detto:
“Figlia mia, quando l’anima propone o di non peccare oppure di fare un bene, e non eseguisce i propositi fatti, il segno è che[26] non si fanno con tutta la volontà e che la luce divina non ha avuto contatto con l’anima - perché quando la volontà è vera e la luce divina vi fa conoscere il male da evitare o il bene da fare, e difficilmente[27] l’a­nima non eseguisce ciò che ha proposto - e questo perché la luce divina non vedendo la stabilità della volontà, non vi somministra la luce necessaria per evitare l’uno e per fare l’altro. Al più possono essere momenti di sventura, abbandoni di creature o qualche altro accidente, che[28] l’anima pare che si vorrebbe distruggere per Dio, che vuol cambiare vita, ma non appena il vento degli accidenti si cambia, [ecco] che tosto si cambia la volontà umana. Sicché anziché volontà e luce si può dire un mescuglio di passioni a norma dei cambiamenti dei venti; eppure la sola stabilità è quella che fa conoscere il progresso della vita divina nell’anima, perché essendo Dio immutabile, chi lo possiede partecipa della sua immutabilità nel bene”.
Luglio 27, 1904   (51)
Trovandomi nel solito mio stato, il mio adorabile Gesù è uscito da dentro il mio interno, e tenendomi sollevata la testa, che per la tardanza nell’aspettarlo era molto stanca, mi ha detto:
“Figlia mia, chi veramente mi ama, tutto ciò che le succede, interno ed esterno, divora tutto in una sola cosa, qual è la Volontà Divina. [Di] tutte le cose, nessuna le pare strana, riguardandola come un prodotto di Divina Volontà, perciò in essa tutto consuma. Sicché il suo centro, la sua mira è l’unica e sola Volontà di Dio. Sicché in essa sempre si gira come dentro d’un anello, senza trovare mai la via da uscirne, facendone alimento continuo”.
Detto ciò è scomparso, e dopo essendo ritornato ha soggiunto:
“Figlia, fa che tutto ti sia suggellato dall’amore; sicché se pensi, devi solo pensare all’amore, se parli, se operi, se palpiti, se desideri; anche un solo desiderio che esca da te che non sia amore restringilo in te stessa e convertilo in amore, e poi dagli la libertà d’uscire”.
E mentre ciò diceva, pareva che con la sua mano toccava tutta la mia persona, mettendo tanti suggelli d’a­more.
Luglio 28, 1904   (52)
Questa mattina trovandomi nel solito mio stato, per qualche poco è venuto il benedetto Gesù e mi ha detto:
“Figlia mia, quando l’anima è distaccata da tutto, in tutte le cose trova Dio: lo trova in sé stessa, lo trova fuori di sé stessa, lo trova nelle creature; sicché si può dire che tutte le cose si convertono in Dio per l’anima al[29] tutto distaccata. Anzi non solo lo trova, ma lo mira, lo sente, lo abbraccia, e siccome in tutto lo trova, così tutte le cose le somministrano occasione d’adorarlo, di pregarlo, di ringraziarlo, di stringersi più intimamente a Dio. E poi i tuoi lamenti non sono del tutto ragionevoli della mia privazione, se tu mi senti nel tuo interno il segno è che non solo vi sto di fuori, ma anche dentro come nel mio proprio centro”.
Ho dimenticato di dire in principio che [Gesù] me l’ha portato la Regina Mamma, e siccome lo pregavo che mi contentasse e non mi lasciasse priva di lui, Gesù benedetto ha risposto nel modo scritto di sopra.
Luglio 29, 1904   (53)
Continuando il mio solito stato, non appena visto il mio adorabile Gesù ho detto: “Signor mio e Dio mio”. E lui ha seguitato a dire:
“Dio, Dio, Dio solo; figlia, la fede fa conoscere Dio, ma la fiducia lo fa trovare, sicché la fede senza la fiducia è fede sterile. E ad onta che la fede possiede immense ricchezze per potersi l’anima arricchire, se manca la fiducia ne resta sempre povera e sprovvista di tutto”.
Onde mentre ciò diceva mi sentivo tirare in Dio e restavo in lui assorbita come una gocciolina d’acqua nell’immenso mare; più che guardavo, non trovavo né i confini dell’altezza né quelli della larghezza, cieli e terra, viatori e comprensori, tutti stavano immersi in Dio. Quindi vedevo anche le guerre, come quella della Russia col Giappone, le migliaia dei soldati che morivano o che morranno, e che per giustizia anche naturale la vincita starà da parte del Giappone; che altre nazioni europee stanno trattando macchinazioni di guerra alle stesse nazioni d’Europa. Ma chi può dire tutto ciò che si vedeva di Dio e in Dio? Per finirla faccio punto.
Luglio 30, 1904   (54)
Questa mattina il benedetto Gesù non ci veniva, ed io trovandomi fuori di me stessa giravo e rigiravo in cerca del mio sommo ed unico Bene, e non trovandolo, l’ani­ma mia si sentiva morirsi ad ogni istante; ma quello che accresceva il mio strazio era che mentre mi sentivo morire ma non[30] morivo, ché se io potessi morire avrei raggiunto il mio scopo col trovarmi per sempre nel centro Iddio. Oh, separazione, quanto sei amara e dolorosa, non c’è pena che a te possa paragonarsi! Oh, privazione divina, tu consumi, tu trafiggi, tu sei ferro a due tagli, che da una parte taglia, dall’altra brucia; il tuo dolore è immenso per quanto è immenso Iddio!
Ora mentre andavo vagando mi sono trovata nel purgatorio, ed il mio dolore, il mio pianto, pareva che accresceva il dolore di quelle povere anime prive della loro vita: Iddio. Onde tra queste parevano parecchi sacerdoti, uno dei quali pareva che più degli altri soffriva, e costui mi ha detto:
“Le mie gravi sofferenze provengono [dal fatto] che in vita fui molto attaccato agli interessi di famiglia, alle cose terrene ed un po’ d’attacco a qualche persona, e questo produce tanto male al sacerdote, da formarsi una corazza di ferro infangata che come veste lo ravvolge, e solo il fuoco del purgatorio ed il fuoco della privazione di Dio, che paragonato al primo fuoco già scomparisce il primo, può distruggere questa corazza. Oh, quanto soffro! Le mie pene sono inenarrabili; prega, prega per me”.
Ond’io mi sentivo più straziare e mi sono trovata in me stessa; e dopo, appena l’ombra ho visto del benedetto Gesù, e mi ha detto:
“Figlia mia, che sei andata trovando[31]? Per te non ci sono altri sollievi ed aiuti che io solo”.
E come baleno è scomparso. Ed io sono rimasta a dire: “Ah, lui stesso me lo dice che lui solo è tutto per me! Eppure ha il coraggio di lasciarmi priva e senza di lui”.
Luglio 31, 1904   (55)
Continuando il mio povero stato, pare ch’è venuto più d’una volta, e pareva che lo vedevo bambino circondato come da un’ombra, e mi ha detto:
“Figlia, non senti la freschezza dell’ombra mia? Riposati in quella, che troverai ristoro”.
E pareva che riposavamo insieme all’ombra sua, e mi sentivo tutta rinfrancare a lui vicina, e poi ha seguitato a dire:
“Diletta mia, se tu mi ami non voglio che tu guardi né in te stessa né fuori di te, né se sei calda o fredda né se fai molto o poco né se soffri o godi; tutto questo de­v’essere distrutto in te e solo devi avere l’occhio [per guardare] se fai quanto più puoi per me e tutto per piacere a me. Gli altri modi, per quanto alti e sublimi ed operosi, non possono piacermi e contentare il mio amore. Oh, quante anime falsificano la vera devozione e profanano le opere più sante con la propria volontà, cercando sempre sé stesse! E se anche nelle cose sante si cerca il modo ed il gusto proprio e la soddisfazione di sé stessa, se [l’anima] trova sé stessa sfugge Dio e non lo trova”.
Agosto 4, 1904   (56)
Questa mattina, essendo venuto il benedetto Gesù, mi ha trasportato fuori di me stessa e prendendomi con la mano mi ha condotto fin sotto la volta del cielo, da dove si vedevano i beati, si sentiva il loro canto. Oh, come i beati nuotavano in Dio! Si vedeva la vita loro in Dio e la vita di Dio in loro; solo questo pare a me tutto l’essen­ziale della loro felicità. Mi pare pure che ciascun beato è un nuovo cielo in quel beato soggiorno, ma tutti distinti tra loro, non c’è uno simile ad un altro, e questo ne avviene a seconda dei modi che[32] si sono comportati con Dio sulla terra: uno ha cercato d’amarlo di più, questo l’amerà di più in cielo e riceverà da Dio sempre nuovo e più crescente amore, da restare questo cielo con una tinta e lineamento divino tutto speciale. Un altro ha cercato di glorificarlo di più: Iddio benedetto gli darà sempre più crescente gloria, da restare questo nuovo cielo più glorioso e glorificato dalla stessa gloria divina. E così di tutti gli altri modi distinti che ciascuno ha tenuto con Dio in terra, che se io volessi dire tutto andrei troppo per le lunghe.
Sicché si può dire che ciò che per Dio si fa in terra lo continueremo in cielo, ma con perfezione maggiore; onde il bene che facciamo non è temporaneo, ma durerà in eterno e risplenderà innanzi a Dio ed intorno a noi continuamente. Oh, come saremo felici vedendo che tutto il nostro bene e la gloria che diamo a Dio, e la nostra, ne viene da quel poco di bene principiato imperfettamente sulla terra! Se tutti lo potessero vedere, oh, come si affretterebbero di più ad amare, lodare, ringraziare ed altro, il Signore, per poterlo fare con maggiore intensità in cielo! Ma chi può dire tutto? Anzi mi pare che sto dicendo tanti spropositi di quel beato soggiorno; la mente lo tiene in un modo, la bocca non trova le parole per sapersi manifestare, perciò passo innanzi.
Onde dopo [Gesù] mi ha trasportato in terra. Oh, come i guai della terra sono raccapriccianti in questi tristi tempi! Eppure pare niente ancora a confronto di quello che verrà, tanto nello stato religioso, che pare che lacereranno a brani a brani questa buona e Santa Madre, la Chiesa, i suoi stessi figli, tanto nello stato secolare. Onde dopo ciò mi ha ricondotto in me stessa e mi ha detto:
“Dimmi un po’, in qual modo figlia mia, io sono per te?”
Ed io: “Tutto, tutto sei per me, nessuna cosa mi entra, tutto scorre fuori, fuorché tu solo”.
E lui: “Ed io sono tutto, tutto per te, niente di te esce fuori di me, ma tutto mi delizio in te. Sicché dallo stesso modo che[33] io sono per te, puoi vedere come tu sei per me”.
Detto ciò è scomparso.
Agosto 5, 1904   (57)
Continuando il mio solito stato, il benedetto Gesù quando appena è venuto, in atto di reggere e di dominare tutto e di regnare con la corona di re in testa e con lo scettro di comando in mano; e mentre lo vedevo in questa posizione mi ha detto, però in latino, ma io lo dico secondo che ho capito:
“Figlia mia, io sono reggitore dei re e Signore dei dominanti, ed a me solo spetta questo diritto di giustizia che mi deve la creatura, e che non dandomelo mi disconosce come Creatore e padrone di tutto”.
E mentre ciò diceva, pareva che prendesse in pugno il mondo e lo rovesciava sottosopra per fare che le creature si sottoponessero al suo regime e dominio. Ed in questo mentre vedevo pure come Nostro Signore reggeva e dominava l’anima mia con una maestria tale che mi sentivo tutta inabissata in lui, e da lui partiva il regime della mia mente, degli affetti, dei desideri, sicché tra me e lui passavano tanti fili elettrici, che[34] tutto dirigeva e dominava.
Agosto 6, 1904   (58)
Questa mattina me la sono passata amarissima per la privazione del mio sommo ed unico Bene. Era tanto il dolore della privazione che trovandomi fuori di me stessa, [per] l’anima era tanta la pena, che la stessa pena le somministrava tale fortezza che ciò che trovava voleva distruggere, come intoppo per trovare il suo tutto, Iddio; e non trovandolo gridava, piangeva, correva più che vento, voleva tutto scompigliare, mettere tutto sossopra per trovare la vita che le mancava. Oh, privazione, quanto intensa è la tua amarezza! Il tuo dolore è sempre nuovo, e perché nuovo, l’anima sente sempre nuova l’a­cerbità della pena; l’anima mia sente come se una sola carne si separasse in tanti brandelli, e tutti quei brandelli chiedono con giustizia la propria vita, e solo la troveranno se trovano Iddio, più che vita propria. Ma chi può dire lo stato in cui mi trovavo?
In questo mentre vi sono accorsi santi, angeli, anime purganti, facendomi corona intorno ed impedendomi il correre, compatendomi ed assistendomi, ma per me era tutto inutile perché in loro non trovavo colui che, solo, poteva lenire il mio dolore e restituirmi la vita; e più gri­davo piangendo: “Ditemi, dove, dove lo posso trovare? Se volete aver di me pietà, non indugiate ad indicarmelo, che più non posso!” Onde dopo ciò è uscito da dentro il fondo dell’anima mia, che pareva che fingeva di dormire senza prendersi pena della durezza del mio povero stato, e ad onta che lui non si dava pena e dormiva, [al] solo vederlo ho respirato la propria[35] vita come si respira l’aria, dicendo: “Ah, sta qui con me!”, ma però non esente da pena nel vederlo che neppure mi dava retta. Quindi dopo molto penare, come se si fosse svegliato mi ha detto:
“Figlia mia, tutte le altre tribolazioni possono essere penitenze, espiazioni, soddisfazioni, ma la sola privazio­ne è pena di fuoco che accende, consuma, annienta e non si arrende se non vede distrutta la vita umana; ma mentre consuma, vivifica e vi costituisce la vita divina”.
Agosto 7, 1904   (59)
Trovandomi nel solito mio stato, mi sono trovata circondata da angeli e santi, i quali mi hanno detto:
“È necessario che tu soffra di più per le cose imminenti che stanno per succedere contro della Chiesa, che se non succederanno imminenti, il tempo le farà succedere più miti e di minore offesa di Dio”.
Ed io ho detto: “Sta forse in mio potere il patire? Se il Signore me lo dà, volentieri soffrirò”. In questo mentre mi hanno preso e mi hanno condotto innanzi al trono di Nostro Signore, e pregavamo insieme che mi facesse soffrire; e Gesù benedetto, venendoci incontro in forma di crocifisso, mi partecipava le sue pene, e non solo una volta, ma quasi tutta la mattinata me la sono passata in continue rinnovazioni di crocifissione, e dopo mi ha detto:
“Figlia mia, le sofferenze mi distornano il mio giusto sdegno e si rinnova la luce della grazia nelle menti uma­ne. Ah, figlia! Credi tu che saranno i secolari i primi a perseguitare la mia Chiesa? Ah, no! Saranno i religiosi, gli stessi capi, che fingendosi per ora figli, pastori, ma in fondo sono serpi velenosi che avvelenano sé stessi e gli altri, che daranno principio a lacerare tra loro stessi questa buona Madre; e poi seguiteranno i secolari”.
E dopo, avendomi chiamato l’ubbidienza, il Signore si è ritirato, ma tutto amareggiato.
Agosto 8, 1904   (60)
Seguitando a stentare, quando appena il mio adorabile Gesù è venuto; sebbene me lo sentivo vicino, ma facevo per prenderlo e mi sfuggiva e quasi m’impediva d’uscire fuori di me stessa per andare in cerca di lui. Onde dopo aver molto stentato, quando appena si è fatto vedere mi ha detto:
“Figlia mia, non mi cercare fuori di te, ma dentro di te nel fondo della tua anima, perché se esci fuori e non mi trovi vi soffrirai assai e non potrai resistere; se mi puoi trovare con più facilità, perché vuoi più stentare?”
Ed io: “Credo che non trovandovi subito in me, posso trovarvi fuori; è l’amore che a ciò mi spinge”.
E lui: “Ah, è l’amore che a ciò ti spinge? Tutto, tutto dovrebbe essere racchiuso in una sola parola: amore; e chi non racchiude tutto in questo, si può dire che del­l’amarmi, l’anima non ne conosce neppure un’acca; ed a misura che l’anima mi ami, così le ingrandisco il dono del patire”.
Ed io interrompendo il suo dire, tutta stupita ed afflitta ho detto: “Vita mia e tutto il mio bene, dunque io poco o niente soffro, quindi poco o niente ti amo; che spavento il solo pensare che non t’amo, l’anima mia ne sente un vivo dispiacere, e quasi quasi mi sento da te offesa”.
E lui ha soggiunto: “Io non intendo dispiacerti, il tuo dispiacere premerebbe più sul cuor mio che sul tuo, e poi non devi guardare le sole sofferenze corporali, ma anche le spirituali, la volontà vera che hai del patire; ché volere l’anima veramente patire innanzi a me, è come se l’anima l’avesse patito, perciò chetati e non ti turbare e lasciami continuare il mio dire. Non hai visto tu mai due intimi amici? Oh, come cercano d’imitarsi l’un l’altro e di ritrattare[36] in sé stesso il proprio amico! Quindi ritrattano la voce, i modi, i passi, le opere, le vesti; sicché l’a­mico può dire: ‘Colui che mi ama è un altro me stesso, ed essendo me stesso non posso fare a meno d’amarlo’. Così faccio io per l’anima che racchiude tutta sé come dentro d’un breve giro d’amore; tutto me mi sento come ritrattato in sé stessa[37], e trovando me stesso, di tutto cuore l’amo e non posso fare a meno di starmi con essa, perché se la lascio lascerei me stesso”.
Mentre ciò diceva è scomparso.
Agosto 9, 1904   (61)
Stentando a venire, quando appena è venuto come un colpo di luce, e sono restata dentro e fuori tutta ripiena di luce, ma non so dire ciò che in questa luce ha compreso e provato l’anima mia; solo dico che dopo, il benedetto Gesù mi ha detto:
“Figlia mia, non sono le opere che costituiscono il merito dell’uomo, ma la sola ubbidienza che costituisce tutti i meriti come parto della Volontà Divina, tanto che tutto ciò che feci e soffrii nel corso della mia vita, tutto fu parto della Volontà del Padre; perciò i miei meriti sono innumerevoli, perché tutti costituiti dall’ubbidienza divina. Perciò io non guardo tanto alla molteplicità e grandezza delle opere, ma al connesso[38] che hanno o direttamente all’ubbidienza divina o indirettamente all’ub­bidienza di chi mi rappresenta”.
Agosto 10, 1904   (62)
Trovandomi fuori di me stessa mi son trovata girando le chiese, facendo il pellegrinaggio a Gesù Sacramentato coll’angelo custode, ed avendo detto dentro d’una chiesa: “Prigioniero d’amore, tu te ne stai abbandonato e solo ed io sono venuta a farti compagnia; e mentre ti faccio compagnia intendo d’amarti per chi vi offende, lodarti per chi vi disprezza, ringraziarti per chi versate grazie e non vi rendono il tributo del ringraziamento, consolarti per chi vi affligge, ripararvi qualunque offesa; in una parola intendo farvi tutto ciò che sono obbligate a farvi le creature per esserti restato nel Santissimo Sacramento, e tante volte intendo ripeterle per quante gocce d’acqua, quanti pesci ed acini d’arene stanno nel mare”. Mentre ciò dicevo, innanzi alla mia mente si sono fatte [presenti] tutte le acque del mare, e dentro di me dicevo: “La mia vista non può afferrare tutta la vastità del mare né conosce la profondità ed il peso di quelle immense acque, ed il Signore ne conosce il numero, peso e misura”. E me ne stavo tutta meravigliata. In questo mentre il benedetto Gesù mi ha detto:
“Sciocca, sciocca che sei, perché ti maravigli tanto? Ciò che alla creatura è difficile ed impossibile, al Creatore è facile e possibile ed anche naturale; succede in questo come a quel tale che guardando in un batter d’occhio milioni e milioni di monete, dice in sé stesso: ‘Sono innumerevoli, chi li può contare?’ Ma colui che li ha messi in quel luogo, in una parola dice tutto: sono tante, valgono tanto, pesano tanto. Figlia mia, io so nel mare quante gocce d’acqua io stesso vi misi, e nessuno può disperdermi neppure una sola; quindi numerai tutto, pesai tutto e valutai tutto, e così di tutte le altre cose. Dunque, che maraviglia che il tutto sappia?”
Nel sentire ciò mi è cessata qualunque maraviglia, anzi mi maravigliavo della mia sciocchezza.
Agosto 12, 1904   (63)
Continuando a stentare, quando all’improvviso mi sono trovata tutta me stessa dentro di Nostro Signore, e dalla testa di lui scendeva un filo lucente nella mia che tutta mi legava a starmi dentro di Gesù. Oh, come ero felice di starmi dentro di lui! Per quanto guardavo, nien­t’altro scorgevo che lui solo; questa è la massima mia felicità: solo, solo Gesù e nient’altro. Oh, come si sta bene! In questo mentre mi ha detto:
“Coraggio figlia mia, non vedi come il filo della mia Volontà ti lega tutta dentro di me? Sicché se qualche altra volontà ti vuol legare, se non è santa non può; perché stando [tu] dentro di me, se non è santa non può entrare in me”.
E mentre ciò diceva mi guardava e guardava, e poi ha soggiunto:
“Ho creato l’anima di una bellezza rara, l’ho dotata d’una luce superiore ad ogni luce creata, eppure l’uomo disperde questa bellezza nella bruttezza e questa luce nelle tenebre”.
Agosto 14, 1904   (64)
Trovandomi un po’ sofferente, il benedetto Gesù nel venire mi ha detto:
“Figlia diletta mia, quanto il ferro è più battuto, più luce acquista, ed ancorché il ferro non tenesse ruggine, i colpi servono a mantenerlo lucido e spolverato; sicché chiunque s’avvicina, facilmente si rimira dentro di quel ferro come se fosse uno specchio. Così l’anima, quanto più i colpi della croce l’abbattono, tanta più luce acquista e si mantiene spolverata da qualunque minima cosa, in modo che chiunque s’avvicina vi si rimira dentro come se fosse specchio; e naturalmente essendo specchio vi fa il suo uffizio, cioè di far vedere se i volti sono mac­chiati o puliti, se belli o brutti; non solo, ma io stesso mi delizio di andarmi a rimirare in essa, e non trovando in essa né polvere né altra cosa che mi impedisce di farvi riflettere la mia immagine, perciò l’amo sempre più”.
Agosto 15, 1904   (65)
Questa mattina mi sentivo tutta oppressa ed una malinconia che tutta mi riempiva l’anima. Pare che il benedetto Gesù non tanto mi ha fatto stentare, e nel vedermi così oppressa mi ha detto:
“Figlia mia, che hai con questa malinconia? Non sai tu che la malinconia è all’anima come l’inverno alle piante, che le spoglia di foglie e impedisce loro di produrre fiori e frutti, tanto che se non venisse l’allegrezza della primavera e del caldo, le povere piante resterebbero inabilitate e finirebbero col seccare? Così è la malinconia all’anima: la spoglia dalla freschezza divina, che è come pioggia che fa tutto[39] rinverdire le virtù; la inabilita a fare il bene, e se lo fa, lo fa stentatamente e quasi per necessità, ma non per virtù; impedisce di crescere nella grazia, e se non si scuote con una santa allegrezza che è una pioggia primaverile che dà in brevissimo tempo lo sviluppo alle piante, finirà col seccare nel bene”.
Ora mentre ciò diceva, dentro d’un lampo ho visto tutta la Chiesa, le guerre che devono subire i religiosi e che devono ricevere dagli altri, guerre tra le società; pareva un parapiglia generale. Pareva pure che il Santo Padre doveva servirsi di pochissime persone religiose, tanto per ridurre nel buon ordine lo stato della Chiesa, i sacerdoti ed altri, quanto per la società in questo stato di sconvolgimenti. Ora mentre ciò vedevo, il benedetto Gesù mi ha detto:
“Credi tu che il trionfo della Chiesa è lontano?”
Ed io: “Certo, chi deve rimettere l’ordine a tante cose scompigliate?”
E lui: “Anzi ti dico che è vicino; è un cozzamento che deve succedere, ma forte, e perciò lo permetterò tutto insieme tra i religiosi e i secolari per abbreviare tempo. Ed in questo cozzamento tutto di scompiglio forte, succederà il cozzamento buono ed ordinato. Però in tale stato di mortificazione che gli uomini si vedranno perduti, darò loro tanta grazia e lume da conoscere il male e di abbracciare la verità; facendoti soffrire anche per questo scopo. Se con tutto ciò non mi daranno retta, allora ti porterò in cielo, e le cose succederanno ancor più gravi ed andranno un po’ più per le lunghe per il desiderato trionfo”.
Agosto 23, 1904   (66)
Questa mattina me la sono passata amarissima, quasi del tutto priva del mio benedetto Gesù, solo che mi trovavo fuori di me stessa in mezzo a guerre e persone uccise, paesi assediati, e pareva che fosse anche in Italia. Quale spavento non provavo! Volevo sottrarmi da scene sì dolorose, ma non potevo, una potenza suprema mi teneva lì inchiodata. Fosse angelo o santo, non so dirlo certo, ha detto:
“Povera Italia, come sarà lacerata da guerre!”
Io nel sentire ciò sono restata più spaventata e mi sono trovata in me stessa, e non avendo ancora visto colui ch’è mia vita, e con tutte quelle scene nella mente, mi sentivo morire. Onde ho visto appena un braccio, e mi ha detto:
“Ci sarà qualche cosa di certo nell’Italia”.
Trovandomi nel solito mio stato mi sentivo tutta oppressa, coll’aggiunta del timore che tutto fosse opera diabolica il mio povero stato sentendomi consumare anima e corpo. Onde quando [Gesù] appena è venuto mi ha detto:
“Figlia mia, perché tanto ti conturbi? Non sai tu che se si unissero insieme tutte le potenze diaboliche, non possono entrare dentro d’un cuore e prenderne dominio, [a] meno che l’anima stessa di propria volontà non desse loro l’entrata? Solo Iddio contiene questo potere di entrare nei cuori e dominarli a seconda che gli piace”.
Ed io: “Signore, perché mi sento consumare l’anima ed il corpo quando mi privi di te? Non è questo il soffio diabolico che è penetrato nell’anima mia, che così mi tormenta?”
Ed egli: “Anzi ti dico che è il soffio dello Spirito Santo, che soffiandoti continuamente ti tiene sempre accesa e ti consuma per amor suo”.
Dopo ciò mi son trovata fuori di me stessa e vedevo il Santo Padre assistito da Nostro Signore, che stava scrivendo un nuovo modo come dovevano comportarsi i sacerdoti, che cosa devono fare e quello che non devono fare, dove non devono andare, e metteva pena a chi non si arrendeva alla sua ubbidienza.
Stavo impensierita per avere letto dentro di un libro che il motivo di tante vocazioni frustrate è il manc[at]o incessante dolore del peccato, e siccome io non ci penso a questo e solo penso a Gesù benedetto e al modo come farlo venire, e di nessun’altra cosa mi curo, quindi pensavo tra me che in male stato[40] mi trovavo. Onde trovandomi nel solito mio stato, il benedetto Gesù mi ha detto:
“Figlia mia, l’attenzione di non commettere peccato supplisce al dolore, ed ancorché uno si dolesse e con tutto ciò commettesse peccati, il suo dolore sarebbe vano ed infruttuoso; mentre l’attenzione continua di non commettere peccati non solo tiene luogo di dolore, ma sforza la grazia continuamente ad aiutarla in modo speciale a non cadere in peccato, e mantiene l’anima sempre purgata. Perciò seguita a stare attenta a non offendermi menomamente, che supplirà a tutto il resto”.
Continuando il mio solito stato, il mio adorabile Gesù non ci veniva. Onde avendo molto stentato, mi sentivo tutta scoraggiata e temevo forte che questa mattina non ci venisse del tutto. Quindi essendo dopo venuto, quando appena mi ha detto:
“Figlia mia, non sai tu che uccide più anime lo scoraggiamento che il resto degli altri vizi? Perciò coraggio, coraggio, ché come lo scoraggiamento uccide, così il coraggio fa rivivere ed è l’atto più lodevole che l’anima possa fare; perché mentre si sente scoraggiata, dallo stesso scoraggiamento prende coraggio, disfa sé stessa e spera, e disfacendo sé stessa, già si trova rifatta in Dio”.
Continuando il mio solito stato, mi sentivo turbata per l’assenza del mio adorabile Gesù. Onde dopo avere molto stentato, è venuto e mi ha detto:
“Figlia mia, come l’anima esce dal fondo della pace, così esce dall’ambiente divino e si trova nell’ambiente o diabolico o umano. È la sola pace che fa scorgere se l’anima cerca Dio per Iddio o per sé stessa, e se opera per Dio oppure per sé o per le creature; perché se è per Dio, l’anima non è mai turbata, si può dire che la pace di Dio e la pace dell’anima si combaciano insieme e d’intorno all’anima si allargano i confini della pace, in modo che tutto converte in pace, anche le stesse guerre. E se l’anima è turbata, fosse pure nelle cose più sante, in fondo si vede che non è Dio, ma il proprio io o qualche fine umano. Perciò quando non ti senti calma, richiama un po’ te stessa per vedere che cosa c’è in fondo; distruggilo e troverai pace”.
Trovandomi nel solito mio stato, dopo avere molto stentato, [Gesù] si è fatto vedere che stava stretto con me tenendo il mio cuore fra le sue mani, e guardandomi fissa mi ha detto:
“Figlia mia, quando un’anima mi ha dato la sua volontà, non è più padrona di fare ciò che le piace, altrimenti non sarebbe vera donazione; mentre la vera donazione è tenere sacrificata continuamente la propria volontà a colui che l’era[41] già donata. E questo è un martirio d’attenzione continua che l’anima fa a Dio. Che diresti tu d’un martire che oggi si offre a patire qualunque sorta di pene e domani si ritira? Diresti che non aveva vera disposizione al martirio e che un giorno o l’altro finirà col rinnegare la fede. Così dico io per l’anima che non mi fa fare della sua volontà quello che mi piace, ed ora me la dà ed ora se la ritira: ‘Figlia, non sei disposta a sacrificarti e martirizzarti per me, perché il vero martirio consiste nella continuazione; potrai dirti rassegnata, uniformata, ma non martire, ed un giorno o l’altro potrai finirla col ritirarti da me, facendo di tutto un gioco di fanciullo’. Perciò statti attenta e lasciami la piena libertà di far di te nel modo che più mi piace”.
Trovandomi nel solito mio stato, sentivo una voce che mi diceva:
“Vi sta un lume che chiunque s’avvicina può accendervi quante fiammelle vuole, e queste fiammelle servono a fare corona d’onore al lume e dar luce a chi [le ha] accese”.
Io dicevo tra me stessa: “Che bel lume che è questo, che tiene tanta luce e tanta potenza, che mentre dà agli altri quanta luce vogliono, lui resta sempre quello che è senza impoverire di luce! Ma chi sarà colui che lo tiene?” Mentre ciò pensavo, mi sono sentita ripetere:
“Il lume è la grazia, e la tiene Iddio; e l’avvicinarsi significa la buona volontà dell’anima di far del bene, ché quanti beni si vogliono attingere dalla grazia, si attingono; e la fiammella che vi si forma sono le diverse virtù, che mentre danno gloria a Dio danno luce all’ani­ma”.
Onde dopo ciò, quando appena ho visto il benedetto Gesù che mi ha detto:
“Figlia mia!”
E questo perché stavo pensando che Nostro Signore non solo una volta, ma per ben tre volte si fece coronare di spine, e come quelle spine restavano rotte dentro della testa, e [la corona di spine] nel conficcarla di nuovo, più dentro entravano le già rimaste, e dicevo: “Dolce amor mio, e perché per ben tre volte volesti soffrire sì doloroso martirio? Non bastava una volta scontare i tanti nostri rei pensieri?” Onde facendosi vedere ha detto:
“Figlia mia, non solo la coronazione di spine fu triplice, ma quasi tutte le pene che soffrii nella mia passione furono triplici. Triplici furono le tre ore dell’ago­nia dell’Orto; triplice fu la flagellazione, flagellandomi con tre specie di diversi flagelli; triplici volte mi spogliarono; per ben tre volte fui condannato a morte: di notte, di presto mattino e di pieno giorno; triplici furono le cadute sotto la croce; triplici i chiodi; triplici volte il cuor mio versò sangue: cioè nell’orto da per sé stesso, e dal proprio suo centro nell’atto della crocifissione, quando fui stirato ben bene sopra la croce, tanto che tutto il mio corpo vi restò tutto slogato ed il mio cuore si sconquassò dentro e versò sangue, e dopo la mia morte quando con una lancia mi fu aperto il costato; triplici le tre ore dell’agonia sulla croce. Se tutto si volesse ruminare, oh, quanti triplici si troverebbero! E questo non fu per caso, ma tutto fu per ordinazione divina e per rendere completa la gloria dovuta al Padre, la riparazione che gli si doveva dalle creature ed il bene da meritare alle stesse creature; perché il dono più grande che la creatura ha ricevuto da Dio è stato il crearla a sua immagine e somiglianza, e dotarla con tre potenze: intelletto, memoria e volontà. E la creatura non c’è colpa che commette, che queste tre potenze non vi concorrano, e quindi macchia, deturpa la bella immagine divina che contiene in sé stessa, servendosi del dono per offendere il donatore. Ed io per rifare di nuovo questa immagine divina nella creatura e per dare tutta quella gloria che la creatura gli doveva a Dio, vi ho concorso con tutto il mio intelletto, memoria e volontà, ed in modo speciale in questi triplici da me sofferti, per rendere completa, tanto la gloria che gli si doveva al Padre, quanto il bene che era necessario alle creature”.
Continuando il mio solito stato, quando appena ho visto il mio benedetto Gesù quasi in atto di castigare le genti, ed avendolo pregato che si placasse mi ha detto:
“Figlia mia, l’ingratitudine umana è orrenda; non solo i sacramenti, la grazia, i lumi, gli aiuti che do all’uomo, ma anche le stesse doti naturali che gli ho dato, sono tutte luce che servono all’uomo per stradarlo nella via del bene e quindi trovare la propria felicità, e l’uomo convertendo tutto questo in tenebre vi cerca la propria rovina, e mentre vi cerca la rovina dice che cerca il mio[42] proprio bene. Questa è la condizione dell’uomo; si può dare cecità ed ingratitudine più grande di questa? Figlia, l’unico mio sollievo e gusto che mi può dare la creatura in questi tempi è il sacrificarsi volontariamente per me, perché essendo stato il mio sacrifizio tutto volontario per loro, dove trovo la volontà di sacrificarsi per me mi sento come ricompensato di ciò che feci per loro. Perciò se vuoi sollevarmi e darmi gusto, sacrificati volontariamente per me”.
Questa mattina non venendo il dolcissimo Gesù me la son passata malissimo, e non facevo altro che reprimere e sforzare me stessa, e dicevo tra me: “Che sto più a fare? Che mi vale questo reprimere continuo di me stessa?” E mentre ciò pensavo, [Gesù] come un lampo è venuto e mi ha detto:
“Vale più reprimere sé stesso che acquistare un regno”. Ed è scomparso.
Continuando il mio solito stato, quando appena è venuto il benedetto Gesù mi ha detto:
“Figlia mia, è necessario operare attraverso il velo dell’Umanità di Cristo per trovare la Divinità, cioè operare unito con la sua Umanità, con la stessa Volontà di Cristo, come se la sua e la nostra fosse una sola, per piacere solo a lui. Operando coi suoi stessi modi, indirizzando tutto a Cristo, chiamandolo insieme in tutto ciò che facciamo come se lui stesso dovesse fare le nostre stesse azioni, così facendo l’anima si trova in continuo contatto con Dio, perché l’Umanità a Cristo non era altro che una specie di velo che copriva la Divinità; onde operando in mezzo a questi veli, [l’anima] già si trova con Dio. E colui il quale non vuole operare per mezzo dell’Umanità Santissima e vuol trovare Cristo, è come quel tale che vuol trovare il frutto senza trovare la corteccia; questo è impossibile”.
Questa mattina mi sono trovata fuori di me stessa in mezzo ad una strada dove stavano tanti cagnolini che si mordevano l’uno all’altro; ed a capo di detta strada un religioso che li vedeva mordere, li sentiva e s’impressio­nava secondo che[43] vedeva naturalmente, e [lui ed altri] dicevano senza approfondire e scrutinare bene le cose e senza un lume soprannaturale che faceva loro conoscere la verità. In questo mentre ho sentito una voce che diceva:
“Questi sono tutti preti, che a vicenda si mordono tra loro”.
Onde pareva che fosse il visitatore[44] quel religioso che, vedendo mordere i preti, gli mancasse[45] l’assistenza divina.
Continuando il mio solito stato, dopo d’aver molto stentato [Gesù] è venuto; appena visto ho detto: “Il Verbo si fece carne ed abitò tra noi”. Ed il benedetto Gesù ha soggiunto:
“Il Verbo prese carne, ma non restò carne, restò quello che era; e siccome Verbo significa parola e non c’è cosa che più influisce della parola, così il Verbo significa manifestazione, comunicazione, unione divina all’u­mano. Sicché se il Verbo non prendesse carne, non c’era via di mezzo come poter unire insieme Dio e l’uomo”.
Detto ciò è scomparso.
Trovandomi nel solito mio stato me la son passata molto agitata, non solo per la quasi totale privazione del­l’unico e solo mio Bene, ma pure ché trovandomi fuori di me stessa vedevo che [gli uomini] si dovevano uccidere come tanti cani, come se l’Italia sarà compromessa in guerra con altre nazioni; tanti soldati che partivano a turbe a turbe, e che avendo fatto vittime quelli, altri ancora ne chiamavano. Chi può dire come mi sentivo oppressa?, molto più che mi sentivo quasi senza sofferenze. Onde mi stavo lamentando, dicendo tra me: “A che pro il vivere? Gesù non viene, il patire mi manca, i miei più cari ed indivisibili compagni, Gesù ed il dolore, mi hanno lasciato; eppure io vivo? Io credevo che senza dell’uno e dell’altro non avrei potuto vivere, tanto mi erano inseparabili; eppure vivo ancora? Oh, Dio, che mutamento, che punto doloroso, che strazio indicibile, che crudeltà inaudita! Se le altre anime le hai lasciate prive di te, ma non mai senza il dolore, a nessuno hai fatto questo affronto così ignominioso; solo a me, solo per me stava preparato questo smacco così terribile, solo io meritavo questo castigo così insopportabile. Ma giusto castigo dei miei peccati!, anzi meritavo peggio”. In questo mentre, come un lampo [Gesù] è venuto dicendomi con imponenza:
“Che hai con questo tuo dire? Ti basta la mia Volontà per tutto; sarebbe castigo se ti mettessi fuori dall’am­biente divino e ti facessi mancare il cibo della mia Volontà, [di] cui voglio che soprattutto facessi conto e stima. E poi è necessario che per qualche tempo ti mancasse il patire per dare un po’ di vuoto alla giustizia e così poter castigare le genti”.
Dopo aver molto stentato, quando appena è venuto il benedetto Gesù mi ha detto:
“Figlia mia, quando l’anima si dispone a fare un bene, fosse pure di dire una Ave Maria, la grazia vi concorre a fare quel detto bene; quindi se l’anima non è perseverante a fare quel detto bene, si vede con chiarezza che non ne fa stima e non calcola il dono ricevuto, e se ne fa una burla della stessa grazia. Quanti mali stanno racchiusi in questo modo d’operare: oggi sì e domani no; mi piace e lo faccio; ci vuole un sacrifizio per fare quel detto bene, non mi sento di farlo. Succede come a quel tale che avendo ricevuto un dono da un signore, oggi se lo riceve[46], domani lo manda indietro; quel signore per sua bontà lo rimanda di nuovo, e quello dopo d’averlo tenuto per qualche tempo, stanco di tenere con sé quel dono, di nuovo lo respinge. Or che dirà quel signore? ‘Si vede che non fa stima del mio dono; impoverisse, morisse, non voglio avere più che ci fare[47] con lui’.
Tutto, tutto sta attaccato al modo di operare con perseveranza; la catena delle mie grazie sta concatenata alle opere perseveranti. Sicché se l’anima fa delle sfuggite, rompe questa catena, e chi le assicura che l’incatenerà di nuovo? I miei disegni si compiono solamente in chi attacca le sue opere alla perseveranza. La perfezione, la santità, tutto, tutto va unito con questa; sicché se l’ani­ma è intermittente, essendo una specie di febbre intermittente il non operare con perseveranza, manda a vuoto i disegni divini, sperde la sua perfezione e fallisce la sua santità”.
Continuando il mio solito stato, le mie amarezze si vanno sempre aumentando per le quasi privazioni e silenzio del mio santissimo ed unico Bene. Tutto è ombra e lampo, e sfugge. Mi sento schiacciata e stupidita, non comprendo più nulla perché colui che contiene la luce è da me lontano, e come lampo che mentre chiarisce dopo si fa più oscuro di prima. Unico e solo mio retaggio rimastomi è il Voler Divino. Onde dopo avere molto stentato, mi sentivo che più non potevo tirare innanzi, [Gesù] per poco è venuto e mi ha detto:
“Figlia mia, la mia Umanità, essendo [io] Uomo e Dio, vedeva presenti tutti i peccati, i castighi, le anime perdute; avrebbe voluto afferrare in un sol punto tutto questo e distruggere peccati, castighi, e salvare le anime; sicché avrebbe voluto soffrire non un giorno di passione, ma tutti i giorni per poter contenere tutte in sé queste pene e risparmiare le povere creature. Con tutto ciò che avrebbe[48] voluto e potuto - perché avrei potuto distruggere il libero arbitrio delle creature, ed avrei distrutto questi cumuli di mali - ma che sarebbe dell’uomo senza meriti propri, senza volontà sua nell’operare il be­ne? Qual figura farebbe egli mai? Sarebbe egli mai oggetto degno della mia sapienza creatrice? No, certo. Oh, non sarebbe stato come un figlio straniero nella casa altrui, che non avendo lavorato insieme cogli altri figli non ha nessun diritto ed[49] alcuna eredità? E quindi va sempre pieno di rossore, se mangia, se beve, perché sa che non ha fatto nessun atto propizio per attestare il suo amore verso di quel padre. Onde non può essere mai degno dell’amore di quel padre verso di lui; sicché la creatura non sarebbe mai stata degna dell’amor divino senza il libero arbitrio.
D’altronde [la mia Umanità] non doveva infrangere la mia sapienza creatrice, la doveva adorare, come l’adorò e si rassegnò a ricevere i vuoti della giustizia nella [stessa] Umanità, non però nella Divinità, perché questi vuoti della giustizia divina vengono riempiti dai castighi di questa vita, dall’inferno e dal purgatorio. Onde se la mia Umanità si rassegnò a tutto questo, vorresti tu forse superarmi e non ricevere nessun vuoto di patire sopra di te, per non farmi castigare le genti? Figlia, unificati meco e statti pacifica”.
Avendo fatto la comunione, stavo pensando alla benignità di Nostro Signore nel darsi in cibo ad una sì povera creatura quale io sono; e come potrei corrispondere ad un sì gran favore? Mentre ciò pensavo, il benedetto Gesù mi ha detto:
“Figlia mia, come io mi fo cibo della creatura, così la creatura può farsi mio cibo convertendo tutto il suo interno per mio alimento, dimodoché pensieri, affetti, desideri, inclinazioni, palpiti, sospiri, amore, tutto, tutto dovrebbero tendere a me; ed io vedendo il vero frutto del mio cibo qual è di divinizzare l’anima e convertire tutto in me, mi verrei a cibare dell’anima, cioè dei suoi pensieri, del suo amore e di tutto il suo resto. Così l’anima mi potrebbe dire: ‘Come tu sei giunto a farti cibo mio e darmi tutto, anch’io mi son fatta cibo tuo; non resta altro da darvi, perché tutto ciò che sono, tutto è tuo”.
In questo mentre comprendevo l’ingratitudine enorme delle creature, che mentre Gesù si benigna di giungere a tale eccesso d’amore da farsi nostro cibo, noi poi gli neghiamo il suo cibo e lo facciamo stare digiuno.
Trovandomi nel solito mio stato, quando appena è venuto il mio adorabile Gesù mi ha detto:
“Figlia mia, il mio cielo quando venni in terra fu la mia Umanità; e come nel cielo si veggono la moltitudine delle stelle, il sole, la luna, i pianeti, l’ampiezza, tutto messo in bell’ordinanza - immagine questo del cielo che esiste di sopra, dove tutto è ordinato - così la mia Umanità essendo mio cielo doveva trasparire fuori l’ordine della Divinità che abitava di dentro, cioè le virtù, la potenza, la grazia, la sapienza ed altro. Or quando il cielo della mia Umanità, dopo la risurrezione, [è] asceso al cielo empireo, il mio cielo sulla terra doveva continuare a sussistere, e questo sono le anime che danno l’abita­zione alla mia Divinità, ed io abitando in loro vi formo il mio cielo e vi faccio trasparire anche fuori l’ordine delle virtù che vi stanno di dentro. Or qual è l’onore della creatura nel prestare il cielo al Creatore? Ma oh, quanti me lo negano! E tu non vorresti essere il mio cielo? Dimmi che [lo] vorresti”.
Ed io: “Signore, non voglio altro che essere riconosciuta nel tuo sangue, nelle tue piaghe, nella tua Umanità, nelle tue virtù; solo in questo vorrei essere riconosciuta, per essere tuo cielo ed essere sconosciuta da tutti”.
Pareva che approvava la mia proposta ed è scomparso.
Standomi tutta afflitta ed oppressa, e vedendo il buon Gesù che gocciolava sangue, ho detto: “Signore benedetto, ed a me non volete darmi almeno una goccia di sangue per rimedio di tutti i miei mali?” E lui mi ha detto:
“Figlia mia, per donare ci vuole la volontà di chi deve dare e la volontà di chi deve ricevere, altrimenti se una persona vuol dare e l’altra non vuol ricevere, ad onta che la prima vuol dare non può dare, e viceversa se la prima non vuol dare l’altra non può ricevere; ci vuole l’unione dei voleri. Ahi, quante volte la mia grazia viene soffocata, il mio sangue respinto e calpestato!”
E mentre ciò diceva, vedevo che nel sangue del dolce Gesù vermicolavano tutte le genti, e molti se ne uscivano fuori, non volendo stare dentro di quel sangue dove stavano racchiusi tutti i nostri beni e qualunque rimedio ai nostri mali.
Questa mattina stavo offrendo tutte le azioni dell’Umanità di Nostro Signore per riparare tante nostre azioni umane, fatte o indifferente[50] senza un fine soprannaturale, oppure peccaminose, per impetrare che tutte le creature facessero le loro azioni coll’intenzione ed unione delle azioni di Gesù benedetto, e per riempire il vuoto della gloria che la creatura gli deve a Dio se ciò facesse. Mentre ciò facevo, il mio adorabile Gesù mi ha detto:
“Figlia mia, la mia Divinità nella mia Umanità scese nell’abisso più profondo di tutte le umiliazioni umane, tanto che non ci fu nessun atto umano, per quanto basso e piccolo, che io non divinizzai e santificai. E ciò per restituire all’uomo la raddoppiata sovranità: quella perduta nella creazione e quella che gli acquistai nella redenzione. Ma l’uomo sempre ingrato e nemico di sé stesso ama d’essere schiavo anziché sovrano; mentre poteva con un mezzo così facile, cioè coll’intenzione [ed unione] delle sue azioni alle mie, rendere le sue azioni meritorie del merito divino, ne fa uno sciupo e si perde la divisa di re e la sovranità di sé stesso”.
Detto ciò è scomparso e mi son trovata in me stessa.
Continuando il mio solito stato, mi son trovata fuori di me stessa, gettata in terra, dirimpetto al sole, i raggi del quale tutta mi penetravano dentro e fuori facendomi restare come incantata. Dopo molto tempo, essendomi stancata di quella posizione strisciandomi[51] per terra perché non avevo forza d’alzarmi e camminare; onde dopo avere molto stentato è venuta una vergine, che pigliandomi per mano mi ha condotto dentro d’una stanza sopra d’un lettino, dove stava il bambino Gesù che placidamente dormiva. Io contenta d’averlo trovato mi son messa a lui vicina, ma senza risvegliarlo. Dopo qualche tempo, essendosi svegliato si è messo a passeggiare sul letto; io temendo che scomparisse ho detto: “Carino del mio cuore, tu sai che sei la mia vita. Deh, non mi lasciare!”
E lui: “Stabiliamo quante volte devo venire”.
Ed io: “Unico mio Bene, che dite? La vita è necessaria sempre; quindi sempre, sempre”. In questo mentre sono venuti due sacerdoti ed il bambino si è ritirato in braccia di uno di quelli, comandandomi che io parlassi con l’altro; onde quello voleva conto dei miei scritti, ed uno per uno li stava rivedendo. Onde io temendo ho detto a quello: “Chi sa quanti errori ci stanno”.
E quello con una serietà affabile ha detto: “Che, errori contro la legge cristiana?”
Ed io: “No, errori di grammatica”.
E quello: “Questo fa niente”.
Ed io prendendo confidenza ho soggiunto: “Temo che sia tutta illusione”.
E quello guardandomi in faccia ha ripetuto: “Credi tu che ho bisogno di rivedere i tuoi scritti per conoscere se sei illusa o no? Io con due domande che ti faccio, conoscerò se è Dio o il demonio che opera in te. Primo: credi tu che tutte le grazie che Dio ti ha fatto, te le sei tu meritate oppure è stato dono e grazia di Dio?”
Ed io: “Il tutto per grazia di Dio”.
“Secondo: credi tu che in tutte le grazie che il Signore ti ha fatto, la tua buona volontà ha prevenuto la grazia o la grazia abbia prevenuto te?”
Ed io: “Certo la grazia mi ha prevenuta sempre”.
E quello: “Queste risposte mi fanno conoscere che tu non sei illusa”.
In questo mentre mi son trovata in me stessa.
Stando molto agitata e col timore che il benedetto Gesù non mi voleva più in questo stato, mi sentivo una forza interna ad uscire; e tanta era la forza che mi sentivo, che non potendola contenere andavo ripetendo: “Mi sento stanca, non ne posso più”. E nel mio interno sentivo dirmi:
“Anch’io mi sento stanco, non [ce] la faccio più, qualche giorno è necessario che resti sospesa del tutto dallo stato di vittima per far loro prendere la decisione delle guerre, e poi ti farò cadere di nuovo; e poi quando si faranno le guerre si penserà che si farà di te”.
Io non sapevo che fare, l’ubbidienza non voleva, e combattere coll’ubbidienza è lo stesso che sormontare un monte che riempie la terra e tocca il cielo e non c’è via da poter camminare, quindi insormontabile. Io credo, non so se sia sciocchezza, che è più facile combattere con Dio che con questa terribile virtù.
Onde agitata come stavo, mi sono trovata fuori di me stessa innanzi ad un Crocifisso e dicevo: “Signore, non ne posso più, la mia natura è venuta meno, mi manca la forza necessaria per continuare lo stato di vittima; se vuoi che continui dammi la forza, altrimenti io mi tolgo”. Mentre ciò dicevo quel Crocifisso sgorgava una fontana di sangue verso il cielo, che ricadendo sopra la terra si convertiva in fuoco. E parecchie vergini dicevano:
“Per la Francia, l’Italia, l’Austria e l’Inghilterra - e nominavano altre nazioni che io non ho capito bene - ci sono gravissime guerre preparate, civili e governative”.
Io nel sentire ciò mi sono tutta spaventata e mi son trovata in me stessa, e non sapevo io stessa decidere chi dovevo seguire, o la forza interna che spingeva a levarmi o la forza dell’ubbidienza che mi spingeva a starmene, perché ambedue forti e potenti sul mio debole e povero cuore. Finora pare che prevale l’ubbidienza, sebbene stentatamente, e non so dove andrò a finire.
Continuando a stentare, quando appena è venuto il benedetto Gesù; ed io mi vedevo nuda, spogliata di tutto. Forse anima più misera non se ne trova simile, tanto è estrema la mia miseria. Che cambiamento funesto! Se il Signore non fa un nuovo miracolo della sua onnipotenza per farmi risorgere da questo stato, io certo mi morrò di miseria. Onde il benedetto Gesù mi ha detto:
“Figlia mia, coraggio; il principio della beatitudine e­terna è il perdere ogni gusto proprio, perché a seconda che l’anima va sperdendo i propri gusti, così i gusti divini vi prendono possesso, e l’anima avendo disfatto e perduto sé stessa non riconosce più sé stessa, non trova più niente di suo, neppure le cose spirituali. Dio vedendo l’anima che non ha più niente di suo, la riempie di tutto sé stesso e la ricolma di tutte le felicità divine, ed allora l’anima può dirsi veramente beata, perché finché aveva qualche cosa di proprio non poteva andare esente d’amarezze e timori, né Dio potrebbe comunicarle la pro­pria felicità.
Ogni anima che entra nel porto della beatitudine eterna non può andare esente da questo punto, doloroso sì, ma necessario, né può farsene a meno. Generalmente lo fanno in punto di morte ed il purgatorio vi mette l’ul­tima mano; perciò se si domanda alle creature che cosa è gusto di Dio, che significa beatitudine divina, sono cose allora[52] sconosciute e non sanno articolar parola. Ma alle anime mie dilette non voglio, essendosi date tutte a me, che la loro beatitudine tenga il principio lassù nel cielo, ma che tenga principio quaggiù in terra; e non solo voglio riempirle della felicità, della gloria del cielo, ma voglio riempirle dei beni, dei patimenti, delle virtù che si ebbe la mia Umanità in terra. Perciò le spoglio non solo da gusti materiali, che l’anima tiene in conto di sterco, ma dei gusti spirituali ancora, per riempirle tutte dei miei beni e dar loro il principio della vera beatitudine”.
Trovandomi nel solito mio stato, vedevo il bambinello Gesù con un pugno di luce in mano, e dalle dita gli scorrevano i raggi fuori. Io sono restata incantata e lui mi ha detto:
“Figlia mia, la perfezione è luce, e chi dice di voler raggiungerla non fa altro che come chi volesse stringere in pugno un corpo di luce, che mentre lo fa per stringere, la stessa luce gli scorre fuori dalle proprie dita, solo che la mano resta nella stessa luce sommersa. Ora la luce è Dio, e solo Dio è perfetto, e l’anima che vuole essere perfetta non fa altro che afferrare le ombre, le goccioline di Dio, e delle volte non fa altro che vivere nella sola luce, cioè nella verità. E siccome la luce, quanto più vuoto trova e quanto più profondo è il luogo, tanto più addentro vi s’intromette così più spazio vi prende, così la luce divina, quanto più l’anima è vuota ed umile, tanto più la luce la riempie e le comunica le sue grazie e perfezioni”.
Trovandomi nel solito mio stato, stavo pensando ai passi più umilianti che patì Nostro Signore, ed in me stessa ne provavo un orrore, ma poi dicevo tra me: “Signore, perdonate a quelli che vi rinnovano questi passi dolorosi, perché è la troppa debolezza che l’uomo contiene”. In questo mentre, il benedetto Gesù quando appena è venuto mi ha detto:
“Figlia mia, ciò che si dice debolezza umana, il più delle volte è mancanza di vigilanza e d’attenzione di chi è capo, cioè genitori e superiori; perché la creatura quando è vigilata e guardata e non si dà la libertà che vogliono, la debolezza non avendo il loro[53] alimento - cioè il secondare la debolezza è alimento per peggiorare nella debolezza - da per sé stessa si distrugge”.
Poi ha soggiunto: “Ah, figlia mia, come la virtù impregna l’anima come una spugna asciutta s’impregna d’acqua, cioè di luce, di bellezza, di grazia, d’amore, così il peccato, le debolezze secondate, impregnano l’a­nima come una spugna si impregna di fango, cioè di tenebre, di bruttezze e fin d’odio contro Dio”.
Avendo esposto certi dubbi al confessore, la mia mente non si acquietava a ciò che [egli] mi diceva, onde essendo venuto il benedetto Gesù, mi ha detto:
“Figlia mia, chi ragiona sull’ubbidienza, il solo ragio­nare viene a disonorarla, e chi disonora l’ubbidienza disonora Dio”.
Sentendomi più del solito sofferente, quando appena il mio adorabile Gesù è venuto, mi ha detto:
“Figlia mia, la croce è semenza di virtù, e siccome chi semina raccoglie per dieci, venti, trenta ed anche cento, così la croce essendo seme vi moltiplica le virtù, le perfezioni, le abbellisce a meraviglia; sicché quante più croci s’addensano intorno a te, tanti semi di virtù di più si gettano nell’anima tua. Onde invece d’affliggerti quan­do ti giunge una nuova croce, dovresti rallegrarti pensando di fare acquisto d’un altro seme, da poterti arricchire ed anche compire al[54] tua corona”.
Continuando il mio povero stato di privazione e d’amarezza indicibile, ed al più si fa vedere in silenzio, questa mattina mi ha detto:
“Figlia mia, le caratteristiche dei miei figli sono: amore alla croce, amore alla gloria di Dio ed amore alla gloria della Chiesa, fino a mettere la propria vita. Chi non tiene queste tre caratteristiche, invano si dice mio figlio; chi ardisce dirlo è un bugiardo e traditore, che tradisce Dio e sé stesso. Vedi un po’ in te se le hai”.
Ed è scomparso.
Trovandomi nel solito mio stato mi sentivo uno scontento di me stessa, ed essendo venuto il benedetto Gesù mi sono sentita entrare in tale contento che ho detto: “Ah, Signore, voi solo siete il vero contento!”
E lui ha soggiunto: “Ed io ti dico che il primo contento dell’anima è Dio solo. Il secondo contento è quando l’anima dentro di sé e fuori di sé non mira altro che Dio. Il terzo è quando l’anima trovandosi in questo ambiente divino, nessun oggetto creato né creature né ricchezze rompono l’immagine divina nella sua mente, perché la mente si alimenta di ciò che pensa, e mirando solo Dio, guarda solo, delle cose di quaggiù, quelle sole che vuole Dio, non curandosi di tutto il resto: così si resta sempre in Dio. Il quarto contento è il patire per Dio, perché l’a­nima e Dio, ora per mantenere la conversazione, ora per stringersi più intimamente, ora per attestarsi l’un l’altra il bene che si vogliono, Dio la chiama e l’anima risponde, Dio s’avvicina l’anima lo abbraccia, Dio le dà il patire e l’anima volentieri patisce, anzi desidera di più patire per amore suo, per potergli dire: ‘Vedi come ti amo?’ E questo è il maggiore di tutti i contenti”.
Questa mattina, quando appena è venuto il benedetto Gesù e mi ha detto:
“Figlia mia, l’umiltà è un fiore senza spine, e siccome è senza spine si può prendere in mano, si può stringere, si può mettere dove si vuole senza timore di ricevere molestia o puntura. Così è l’anima umile: si può dire che non tiene le punture dei difetti, e siccome è senza punture si può farne ciò che si vuole, e non avendo spine, naturalmente non punge né dà molestia agli altri; perché le spine le dà chi le tiene, ma chi non le tiene come può darle?
Non solo, ma l’umiltà è un fiore che fortifica e rischiara la vista, e con la sua chiarezza si sa tenere lontano dalle stesse spine”.
Marzo 2, 1905   (95)
Continuando il mio solito stato mi son trovata fuori di me stessa, e mi son trovata in mano una chiave; e sebbene facevo una via lunga e qualche volta mi distraevo, pure non appena pensavo alla chiave me la trovavo sempre in mano. Ora vedevo che questa chiave serviva ad aprire un palazzo e dentro vi stava il bambino Gesù che dormiva, e che io il tutto vedevo da lontano, ed io avevo tutta la premura, la fretta d’andare ad aprire, temendo che si risvegliasse, che piangesse, e non mi trovavo vicino. Onde m’affrettavo sempre più, ma quando mi son trovata lì per salire, mi son trovata in me stessa, quindi son restata impensierita. Ma dopo essendo venuto il benedetto Gesù mi ha detto:
“Figlia mia, la chiave che ti trovavi sempre in mano è la chiave della mia Volontà, che io ho messo nelle tue mani, e chi tiene in mano un oggetto può farne ciò che vuole”.
Marzo 5, 1905   (96)
Stando un poco più del solito sofferente, per poco è venuto il benedetto Gesù e mi ha detto:
“Figlia mia, la croce è sostegno dei deboli, è fortezza dei forti, è germe e custodia della verginità”.
Detto ciò è scomparso.
Marzo 20, 1905   (97)
Continuando il mio solito stato, quando appena è venuto il benedetto Gesù mi ha detto:
“Figlia mia, l’amore che non tiene il principio in Dio non può dirsi amor vero, e le stesse virtù che non hanno principio in Dio sono virtù falsificate; perché tutto ciò che non ha principio in Dio non può dirsi né amore né virtù, piuttosto luce apparente che finisce col convertirsi in tenebre”.
Poi ha soggiunto: “Come per esempio, un confessore lavora, si sacrifica tanto per un’anima: è cosa santa, apparentemente dà dell’eroismo, eppure se ciò fa perché ha ottenuto o spera d’ottenere qualche cosa, il principio del suo sacrifizio non è in Dio, ma in sé stesso e per sé stesso; quindi non può dirsi virtù”.
Marzo 23, 1905   (98)
Trovandomi nel solito mio stato, per poco è venuto il benedetto Gesù ed io gli ho detto: “Signore, è la gloria tua il mio stato?”
E lui: “Figlia mia, tutta la mia gloria e tutto il mio compiacimento, solo è che ti voglio tutta te più in me”.
Poi ha soggiunto: “Il tutto sta nella sconfidenza e timore dell’anima in sé stessa, e nella confidenza e coraggio in Dio”.
Detto ciò è scomparso.
Marzo 28, 1905   (99)
Trovandomi nel solito mio stato, quando appena è venuto il benedetto Gesù, ed avendo io detto ad un’ani­ma turbata: “Pensa a non volerti star turbata, non solo per bene tuo, ma molto più per amor di Nostro Signore, perché l’anima turbata non solo sta essa turbata, ma fa turbare Gesù Cristo”, e dopo ho detto tra me: “Che spro­posito che ho detto, Gesù non può mai turbarsi”, onde nel venire mi ha detto:
“Figlia mia, invece di uno sproposito hai detto una verità, perché in ogni anima vi formo una vita divina, e se l’anima è turbata, questa vita divina che io vado formando resta anche turbata; non solo, ma mai giunge a compirsi perfettamente”.
E come lampo è scomparso. Onde io ho continuato il mio solito lavoro interno sulla passione, ed essendo giun­ta a quel punto dell’incontro di Gesù e Maria sulla via della croce, di nuovo si è fatto vedere e mi ha detto:
“Figlia mia, anche coll’anima mi incontro continuamente, e se nell’incontro che faccio coll’anima la trovo in atto di esercitare le virtù, ed unita con me, mi ricompensa dal dolore che soffrii quando incontrai la mia Ma­dre così addolorata per causa mia”.
Aprile 11, 1905   (100)
Stando molto afflitta per la privazione del mio adorabile Gesù, stavo dicendo tra me stessa: “Come si è fatto meco crudele! Io stessa non so capire come il suo buon cuore può giungere a farlo; e poi se il perseverare gli piaccia[55] tanto, eppure il mio perseverare non commuove il suo buon cuore”. Mentre dicevo questi ed altri spropositi, tutto all’improvviso è venuto e mi ha detto:
“Certo che la cosa che più mi piace dell’anima è la perseveranza, perché la perseveranza è suggello della vita eterna e sviluppo della vita divina. Perché come Dio è sempre antico e sempre nuovo e immutabile, così l’a­nima con la perseveranza: coll’averla fatta sempre è antica e con l’attitudine di farla è sempre nuova; ed ogniqualvolta la fa si rinnova in Dio restandovi immutabile e senza accorgersene. Siccome con la perseveranza fa acquisto continuo della vita divina in sé stessa, acquistando Dio vi suggella l’eterna vita. Vi può essere suggello più sicuro di Dio stesso?”
Aprile 16, 1905   (101)
Continuando il mio solito stato, per poco si è fatto vedere il mio amabile Gesù con un chiodo dentro del cuore, che avvicinandosi al mio cuore me lo toccava col suo stesso chiodo ed io vi sentivo pene mortali, e dopo mi ha detto:
“Figlia mia, questo chiodo me lo mette il mondo fin dentro del mio cuore e mi dà una morte continua; sicché per giustizia, come loro mi danno morte continua, così permetterò che si diano morte tra loro uccidendosi come tanti cani”.
E mentre ciò diceva mi faceva sentire i gridi dei rivoltosi, tanto che sono stata assordata per quattro o cinque giorni. Onde stando molto sofferente, dopo poco è ritornato e mi ha detto:
“Oggi è il Giorno delle Palme in cui fui acclamato Re. Tutti devono aspirare ad un regno, e per acquistare il regno eterno è necessario che la creatura acquisti il regime di sé stessa col dominio delle sue passioni; l’u­nico mezzo è il patire, perché il patire è regnare, cioè con la pazienza mette a posto sé stesso, facendosi re di sé stesso e del regno eterno”.
Aprile 20, 1905   (102)
Trovandomi nel solito mio stato, quando appena è ve­nuto il benedetto Gesù quasi in atto di castigare le genti, mi ha detto:
“Figlia mia, le creature mi lacerano le carni, calpestano il mio sangue continuamente, ed io permetterò che le loro carni siano lacerate ed il loro sangue disperso. L’u­manità in questi tempi trovasi come un osso fuori del posto, fuori del suo centro, e per metterlo a posto e farlo rientrare nel suo centro è necessario che lo disfa[ccia]”.
Poi calmandosi un poco ha soggiunto: “Figlia mia, l’anima può conoscere se ha dominato le sue passioni, se toccata da tentazioni o da persone non ne fa nessun conto. Come per esempio: viene tentata d’impurità: se ha dominato questa passione, l’anima non ne fa conto e la stessa natura sta al suo posto, se invece no, l’anima s’infastidisce, s’affligge e nel suo corpo si sente scorrere un rivolo marcioso. Oppure una persona mortifica, ingiuria un’altra: se questa ha dominato la passione della superbia se ne resta in pace, se poi no, si sente scorrere un rivolo di fuoco, di sdegno, d’alterigia, che la mette tutta sossopra, perché la passione quando ci sta, all’oc­casione esce in campo; e così di tutto il resto”.
Maggio 2, 1905   (103)
Continuando un po’ più del solito le mie sofferenze, il mio buon Gesù nel venire mi ha detto:
“Figlia mia, il patire contiene tre sorti di risurrezione, cioè: il patire fa risorgere l’anima alla grazia; secondo: inoltrandosi il patire vi riunisce le virtù, e [l’anima] risorge alla santità; terzo: continuando il patire, il patire perfeziona le virtù, le abbellisce di splendore formandovi una bella corona, e coronata l’anima vi risorge alla gloria in terra ed alla gloria in cielo”.
Detto ciò è scomparso.
Maggio 5, 1905   (104)
Trovandomi nel solito mio stato, quando appena è venuto il benedetto Gesù, pareva che da dentro il suo interno uscisse un’altra immagine tutta simile a sé, solo più piccola. Io sono restata meravigliata nel vedere ciò, e lui mi ha detto:
“Figlia mia, tutto ciò che può uscire da dentro una persona si chiama parto, e questo parto diventa figlio di chi lo partorisce. Or questa mia figlia è la grazia, che uscendo da me si comunica a tutte le anime che la vogliono ricevere e le trasmuta in tant’altri miei figli; non solo, ma tutto ciò che può uscire di bene, di virtù da questi secondi figli, diventano figli[56] della grazia. Vedi un po’ che lunga generazione di figli si forma la grazia, solo che la ricevano; ma quanti la respingono! E la mia figlia se ne ritorna al mio seno sola e senza prole”.
Mentre ciò diceva, quella immagine si è rinchiusa dentro di me riempiendomi tutta di sé stessa.
Maggio 9, 1905   (105)
Continuando il mio solito stato, mi pareva che il mio adorabile Gesù usciva da dentro il mio interno e con una voce dolce ed affabile diceva:
“E perché figlia mia tutto ciò che deve fare la morte alla natura non può farlo anticipatamente l’anima unita alla grazia? Cioè farla morire anticipatamente per amor di Dio a tutto ciò che dovrà morire. Ma questa beata morte giungono[57] a farla chi solamente fa continuo soggiorno con la mia grazia, perché vivendo con Dio, le riesce più facile morire a tutto ciò che è caduco. E l’anima vivendo a Dio e morendo a tutto il resto, la stessa natura viene ad anticipare i privilegi che la devono arricchire nella risurrezione, cioè si sentirà spiritualizzata, deifica­ta ed incorruttibile, oltre a tutti i beni che parteciperà l’anima sentendosi partecipe di tutti i privilegi della vita divina. Oltre di ciò la distinzione della gloria che avran­no in cielo queste anime: saranno tanto diverse dalle altre quanto distinto è il cielo dalla terra”.
Detto ciò è scomparso.
Maggio 12, 1905   (106)
Trovandomi nel solito mio stato, quando appena è venuto il mio benedetto Gesù; ed io nel vederlo, non so il perché ho detto:
“Signore, eppure è una cosa che lacera l’anima il pensiero che posso perdere il vostro amore”.
E lui: “Figlia mia, chi te l’ha detto? In tutte le cose la mia paterna bontà ha somministrato i mezzi per aiutare la creatura, purché questi mezzi non venissero respinti. Dunque, mezzo per non perdere il mio amore è fare del mio amore e [di] tutto ciò che mi riguarda come se fosse cosa propria. Può perdere uno tutto ciò che è suo? No certo, al più se non facendo stima della cosa propria non avrà cura di custodirla, ma se non la stima e non la custodisce è segno che non l’ama; quindi quell’oggetto non contiene più vita d’amore e non si può annoverare tra le cose proprie. Ma il mio amore quando si fa proprio si stima, si custodisce, si tiene sempre ad occhio, in modo che non può perdere ciò che è suo, né in vita né in morte”.
Maggio 15, 1905   (107)
Continuando il mio solito stato, per poco è venuto il benedetto Gesù e mi ha detto:
“Figlia mia, dicono che il cammino della virtù è difficile; falso! È difficile per chi non cammina, perché non conoscendo né le grazie né le consolazioni che deve ricevere da Dio né l’agevolazione del camminare, le pare difficile, e senza camminare sente tutto il peso del cam­mino. Ma per chi cammina le riesce facilissimo, perché la grazia che l’inonda la fortifica, la bellezza delle virtù l’attrae, il Divino Sposo delle anime la porta appoggiata al proprio braccio accompagnandola nel cammino, e l’anima invece di sentire il peso, la difficoltà del camminare, vuole affrettare il cammino per giungere più subito alla fine del cammino e del[58] suo proprio centro”.
Maggio 18, 1905   (108)
Continuando il mio solito stato, appena venuto il benedetto Gesù mi ha detto:
“Figlia mia, il timore toglie la vita all’amore; non solo, ma anche le stesse virtù che non hanno principio dal­l’amore diminuiscono la vita dell’amore nell’anima, mentre in tutte le cose l’amore merita la preferenza; per­ché l’amore rende facile ogni cosa, mentre le stesse virtù che non hanno principio dall’amore sono come tante vittime che vanno a finire al macello, cioè alla distruzione delle stesse virtù”.
Maggio 20, 1905   (109)
Questa mattina stavo pensando quando il benedetto Gesù restò tutto slogato sulla croce, e dicevo tra me: “Ah, Signore, quanto potesti restare compenetrato da queste sì atroci sofferenze, e come la vostra anima potette restare afflitta!” In questo mentre, quasi ad ombra è venuto e mi ha detto:
“Figlia mia, io non mi occupavo delle mie sofferenze, ma mi occupavo dello scopo delle mie pene, e siccome nelle mie pene vedevo compita la Volontà del Padre, soffrivo e nel mio stesso soffrire trovavo il più dolce riposo; perché il fare la Volontà Divina contiene questo bene, che mentre si soffre vi si trova il più bel riposo; e se si gode, e questo godere non è voluto da Dio, nello stesso godere vi si trova il più atroce tormento. Anzi quanto più mi avvicinavo al termine delle pene, agognando di compire in tutto la Volontà del Padre, così mi sentivo più alleggerito ed il mio riposo si faceva più bello. Oh, quanto è diverso il modo che tengono le anime! Se soffrono o operano non hanno né la mira al frutto che possono ricavare né l’adempimento della Volontà Divina, si concentrano tutte nella cosa che fanno, e non vedendo i beni che possono guadagnare né al dolce riposo che porta la Volontà di Dio, vivono infastidite e tormentate e fuggono quanto più possono il patire e l’operare credendo di trovare riposo, e vi restano più tormentate di prima”.
Maggio 23, 1905   (110)
Questa mattina mi son trovata fuori di me stessa e mi sentivo una persona in braccia e la testa poggiata sopra la spalla, che io non mi riuscivo di vedere chi fosse, quindi l’ho tirato per forza dicendogli: “Dimmi almeno chi siete”.
E lui: “Io sono il Tutto”.
Ed io nel sentire dire ch’era il Tutto, ho detto: “Ed io sono il nulla. Vedete Signore quanta ragione ho che questo nulla stia unito col Tutto, altrimenti sarà come un pugno di polvere cui[59] il vento disperde”. In questo mentre vedevo una persona dubbiosa che diceva: “Come sarà che per ogni minima cosa si sente tanta turbazione?” Ed io, da una luce che veniva dal benedetto Gesù, ho detto: “Per non sentire turbazione l’anima deve ben fondarsi in Dio, e tutta sé stessa tendere a Dio come ad un sol punto, e guardare le altre cose con occhio indifferente. Ma se farà altrimenti, in ogni cosa che farà o vedrà o sentirà, si sentirà l’anima investita da un malessere, come da quelle febbri lente che rende tutta spostata[60] l’anima turbata, senza potersi […] essa stessa”.
Maggio 25, 1905   (111)
Trovandomi nel solito mio stato, vedevo il benedetto Gesù da fuori [e] da dentro il mio interno; se da fuori lo vedevo bambino, bambino lo vedevo dentro; se lo vedevo crocifisso da fuori, lo stesso lo vedevo dentro. Io sono restata meravigliata e lui mi ha detto:
“Figlia mia, quando la mia immagine è completamente formata nell’interno dell’anima, qualunque forma voglio prendere esternamente per rimirarmi, quella stessa si prende la mia stessa immagine che ho formato nel­l’anima. Qual meraviglia adunque?”
Maggio 26, 1905   (112)
Trovandomi fuori di me stessa, mi son trovata col bambino Gesù in braccia e stavo dicendogli: “Carino mio, tutta e sempre tua sono; deh, non permettere che vi scorra in me alcunché, fosse anche un’ombra, che non sia tua!”
E lui: “Figlia mia, quando l’anima è tutta mia, io vi sento un mormorio continuo del suo essere in me; me lo sento scorrere questo suo mormorio continuo nella mia voce, nel mio cuore, nella mente, nelle mani, nei miei passi, e fin nel mio sangue. Oh, come mi è dolce questo suo mormorio in me! E come lo sento vado ripetendo: ‘Tutto, tutto, tutto è mio di quest’anima; ed io t’amo, t’amo tanto’. E vi suggello il mormorio del mio amore in essa; sicché com’io vi sento il suo, così l’anima vi sente il mormorio mio in tutto il suo essere.
Sicché se l’anima in tutta sé stessa si sente scorrere il mio mormorio, è segno che l’anima è tutta mia”.
Maggio 29, 1905   (113)
Questa mattina nel venire il benedetto Gesù si è gettato nelle mie braccia come se volesse riposare, e mi ha detto:
“Così l’anima deve riposare nelle braccia dell’ubbi­dienza, come un bambino si riposa sicuro nelle braccia della madre; e chi riposa in braccia all’ubbidienza vi riceve tutti i colori divini, perché [a] chi veramente dorme si può fare ciò che si vuole, così chi veramente riposa in braccia all’ubbidienza si può dire che dorme, e Iddio vi può fare all’anima ciò che egli vuole”.
Maggio 30, 1905   (114)
Continuando il mio solito stato, stavo dicendo: “Signore, che vuoi da me? Manifestatemi la tua Santa Volontà”.
E lui: “Figlia mia, ti voglio tutta in me acciocché possa trovare tutto in te. Come tutte le creature ebbero vita nella mia Umanità e vi soddisfeci per tutte, così stando tutta in me mi farai trovare tutte le creature in te; cioè unita con me mi farai trovare in te la riparazione per tutti, la soddisfazione, il ringraziamento, la lode e tutto ciò che le creature sono obbligate a darmi. L’amore, oltre alla vita divina ed umana mi somministrò la terza vita, che mi fece germogliare tutte le vite delle creature nella mia Umanità. È questa vita d’amore, e che mentre mi dava vita, mi dava morte continua, mi batteva e mi fortificava, mi umiliava e mi innalzava, mi amareggiava e mi raddolciva, mi tormentava e mi dava delizie. Che cosa non contiene questa vita d’amore infaticabile e pronta ad ogni cosa? Tutto, tutto in essa si trova, la sua vita è sempre nuova ed eterna. Oh, quanto vorrei trovare in te questa vita d’amore per averti sempre in me e tutto trovare in te!”
Giugno 2, 1905   (115)
Questa mattina il benedetto Gesù nel venire mi ha detto:
“Figlia mia, la pazienza è l’alimento della perseveran­za, perché la pazienza tiene a posto le passioni e corrobora tutte le virtù; e ricevendo le virtù, dalla pazienza, l’attitudine della vita continua, non sentono la stanchezza che produce l’incostanza[61], tanto facile alla creatura. Quindi né l’anima s’abbatte se è mortificata o umiliata, perché subito la pazienza le somministra l’alimento necessario e vi forma un nodo più forte e stabile di perseveranza, né se è consolata ed innalzata si spinge troppo, perché la pazienza alimentando la perseveranza, si contiene nella moderazione senza uscire dai suoi limiti. Oltre di ciò siccome la pazienza è alimento, e fino a tanto che una persona si alimenta si può dire che tiene vita, non è morta, così l’anima fino a tanto che terrà pazienza godrà la vita della perseveranza”.
Giugno 5, 1905   (116)
Questa mattina nel venire il benedetto Gesù mi ha detto:
“Figlia mia, le croci, le mortificazioni sono altrettante fonti battesimali, e qualunque specie di croce che va intinta nel pensiero della mia passione, vi perde la metà dell’asprezza e vi diminuisce la metà del peso”.
E come lampo è scomparso. Onde io sono restata facendo certe adorazioni e riparazioni nel mio interno; e di nuovo è ritornato ed ha soggiunto:
“Qual non è la mia consolazione nel vedere rifatto in te ciò che la mia Umanità fece tanti secoli innanzi! Perché qualunque cosa che io determinai che ciascuna anima facesse, fu fatta prima nella mia Umanità, e se l’a­nima mi corrisponde, ciò che io feci per essa lo rifà di nuovo in sé stessa; se poi no, resta fatto solo in me stesso ed io ne provo un’amarezza inesprimibile”.
Giugno 23, 1905   (117)
Continuando il mio solito stato, stavo pensando come morì Gesù Cristo, e che lui non poteva in nessun modo temere la morte, perché stando così unito con la Divinità, anzi trasmutato, già si trovava sicuro come uno nel suo proprio palazzo; ma per l’anima, oh, quanto è diverso! Mentre questi ed altri spropositi pensavo, il benedetto Gesù è venuto e mi ha detto:
“Figlia mia, chi si sta unito con la mia Umanità già si trova alla porta della mia Divinità, perché la mia Uma­nità è specchio all’anima, da cui riverbera la Divinità in essa; chi si trova ai riverberi di questo specchio, s’inten­de che tutto il suo essere è trasmutato in amore. Perché, figlia mia, tutto ciò che dalla creatura esce, anche il movimento degli occhi, delle labbra, il muovere dei pensieri e tutto il resto, tutto dovrebbe essere amore e fatto per amore, perché essendo il mio Essere tutto amore, dove trova amore assorbisco tutto in me, e l’anima vi dimora in me sicura, come uno nel suo proprio palazzo. Dunque qual timore può avere l’anima nel suo morire di venire a me, se già si trova in me?”
Luglio 3, 1905   (118)
Continuando il mio solito stato, mi son trovata fuori di me stessa, e vi sono[62] trovata la Regina Mamma, col bambino Gesù in braccia, che gli stava dando il suo dolcissimo latte; io nel vedere che il bambino succhiava il latte dal petto della nostra Madre, pian piano l’ho tolto dal petto e mi sono messa io a succhiare. Nel vedermi far ciò, ambedue hanno sorriso della mia furberia, ma però mi hanno lasciato succhiare. Onde dopo ciò la Regina Madre mi ha detto:
“Prendi il tuo carino e godilo”.
Io me lo sono preso in braccia; in questo mentre, fuori si sentivano rumori di armi e lui mi ha detto:
“Questo governo cadrà”.
Ed io: “Quando?”
Toccandosi l’estremità della punta del dito ha soggiunto: “Un’altra punta di dito”.
Ed io: “Chi sa innanzi a voi quanto sarà questa punta di dito”.
E lui non mi ha dato retta, ed io non avendo voglia di sapere stavo dicendo: “Quanto vorrei conoscere la Volontà di Dio in riguardo a me!” E lui mi ha detto:
“Tieni una carta?, che ti scriverò io stesso e dichiarerò la mia Volontà sopra di te”.
Io non tenevo e sono andata a cercarla e l’ho data, ed il bambino scriveva:
“Dichiaro innanzi al cielo ed alla terra che è mia Volontà che l’ho scelta vittima; dichiaro che mi ha fatto do­nazione dell’anima e del corpo, ed essendo l’assoluto pa­drone, quando a me piace le partecipo le pene della mia passione, ed io in contraccambio le ho dato l’adito nella mia Divinità. Dichiaro che in quest’adito mi prega ogni giorno per i peccatori, continuamente, e ne attinge un continuo flusso di vita a pro degli stessi peccatori”.
Ed ha scritto tant’altre cose che io non ricordo tanto bene, perciò le lascio. Io nel sentire ciò mi sono sentita tutta confusa, ed ho detto: “Signore, perdonate se mi rendo impertinente, questo che avete scritto non volevo saperlo, mi basta che lo sappiate voi solo; quello che vorrei sapere è se è Volontà vostra che continui questo stato”. Io nella mia mente continuavo: “Se è Volontà sua che venga il confessore a chiamarmi all’ubbidienza oppure è mia fantasia il tempo che perdo col confessore”, ma non ho voluto dirlo temendo di voler sapere troppo, convincendomi io stessa che se è Volontà sua una cosa, sarà Volontà sua l’altra. Ed il bambino Gesù ha seguitato a scrivere:
“Dichiaro che è Volontà mia che continui in questo stato, che venga a chiamarti all’ubbidienza il confessore ed il tempo che perdi con lui, ed è Volontà mia che ti sorprenda il timore di non essere Volontà mia il tuo stato; questo timore e dubbio ti purifica da ogni minimo difetto”.
La Regina Madre e Gesù mi hanno benedetto e ho baciato loro la mano e mi sono trovata in me stessa.
Luglio 5, 1905   (119)
Continuando il mio solito stato, stavo continuando le mie solite operazioni interne, ed il benedetto Gesù venendo mi ha detto:
“Figlia mia, la mia Umanità è musica alla Divinità, perché tutte le mie operazioni formavano tanti tasti, da formare la musica più perfetta ed armoniosa, da ricreare l’udito divino; e l’anima che si uniforma alle mie stesse operazioni interne ed esterne, vi continua la musica della mia stessa Umanità alla Divinità”.
Luglio 18, 1905   (120)
Trovandomi nel solito mio stato, appena è venuto il benedetto Gesù mi ha detto:
“Figlia mia, quando un confessore manifesta il suo modo d’operare interno, alle anime, vi perde la foga di continuare ad operare, e l’anima conoscendo lo scopo che il confessore tiene sopra di essa, si renderà trascurata e snervata nel suo operare. Così l’anima se manifesta il suo interno agli altri, nello svelare il suo segreto svaporerà la foga, rimanendo tutta indebolita; e se ciò non accade con l’aprirsi al confessore, è perché la forza del sacramento mantiene il vapore ed aumenta la forza e vi dimette[63] il suo suggello”.
Luglio 20, 1905   (121)
Questa mattina stavo pregando per un sacerdote infermo, stato mio direttore, e pensavo tra me: “Se avesse continuato la mia direzione, sarebbe stato infermo o no?” Ed il benedetto Gesù nel venire mi ha detto:
“Figlia mia, chi gode i beni che dentro d’una casa si trovano? Certo chi sta dentro, e ad onta che una persona è stata prima dentro, sempre chi presentemente si trova vi gode. Come un padrone, fino a tanto che un servo ci sta con lui, lo paga e lo fa godere dei beni che nella sua casa ci sono; quando se ne va chiama un altro, lo paga e lo partecipa dei suoi beni. Così faccio quando una cosa da me è voluta, e lasciata da uno la trasmetto ad un altro, dandogli tutto ciò che era destinato per quello. Dunque se avesse continuato la tua direzione, stando il tuo stato di vittima avrebbe goduto dei beni che al suo stato è commesso a chi[64] attualmente ti guida, quindi non sarebbe stato infermo. E se la guida presente, ad onta della sua sanità, non ottiene il resto che vuole, è perché non fa pienamente quello che voglio, e ad onta che gode dei beni, pure certi miei carismi non se li merita”.
Luglio 22, 1905   (122)
Stando infastidita per non poter fare certe mortificazioni, parendo che il Signore mi aborrisse perciò non permetteva che le facessi, il benedetto Gesù nel venire mi ha detto:
“Figlia mia, chi veramente mi ama non si infastidisce mai di niente e tutte le cose cerca di convertire in amore. Per qual motivo volevi tu mortificarti? Certo per amor mio, ed io ti dico: per amor mio mortificati e per amor mio prendi i sollievi, e l’uno e l’altro saranno innanzi a me d’uguale peso. A seconda la dose di amore che contiene un’azione, fosse anche indifferente, così si aumenta il peso, perché io non guardo l’opera, ma l’intensità dell’amore che l’operare contiene. Perciò non voglio nes­sun fastidio in te, ma sempre pace, perché i fastidi, le turbazioni, è sempre l’amor proprio che vuol uscire a regnare, o il nemico per far danno”.
Agosto 9, 1905   (123)
Continuando il mio solito stato, mi sentivo un po’ turbata, ed il benedetto Gesù nel venire mi ha detto:
“Figlia mia, l’anima in pace, e che tutto il suo essere tende tutto in me, gocciola dall’anima gocce di luce e vi cadono sulla mia veste e formano il mio ornamento; invece l’anima turbata gocciola tenebre e formano l’orna­mento diabolico. Non solo, ma il turbamento impedisce il cammino alla grazia, e la rende[65] inabile ad operare il bene”.
Poi ha soggiunto: “Se l’anima ad ogni cosa si turba, è segno che è piena di sé stessa; se poi ad una cosa che le succede si turba e ad un’altra no, è segno che ha qualche cosa di Dio, ma ci sono molti vuoti da riempire; se poi niente la turba, è segno che tutta è riempita di Dio. Oh, quanto male fa il turbamento all’anima, fino a respingere Iddio ed a riempirla tutta di sé stessa!”
Agosto 17, 1905   (124)
Continuando il mio solito stato vedevo la Regina Mamma, e diceva a Nostro Signore:
“Venga, venga nel suo giardino a deliziarsi”, parendo che indicava me.
Io nel sentire ciò mi sentivo piena di rossore e dicevo tra me: “Io non ho mica niente di bene, come si potrà deliziare?” Mentre ciò pensavo il benedetto Gesù mi ha detto:
“Figlia mia, perché arrossisci? Tutta la gloria di un’anima è sentirsi dire che [di] tutto ciò che tiene niente è suo, ma tutto è di Dio. Ed io in contraccambio le dico che tutto ciò che è mio è suo”.
E mentre ciò diceva, pareva che il mio piccolo giardino, fatto da lui stesso, s’univa col suo grandissimo che teneva nel suo cuore, e se ne faceva uno solo; e ci deliziavamo insieme. E dopo mi sono trovata in me stessa.
Agosto 20, 1905   (125)
Questa mattina il benedetto Gesù nel venire mi ha detto:
“Figlia mia, se l’anima in tutte le sue azioni opera tutto per Dio e per piacere solo a Dio, la grazia vi entra da tutte le parti nell’anima; come [in] una casa quando vi sono aperti balconi, porte, finestre, la luce del sole vi entra da tutte le parti, e vi gode tutta la pienezza della luce, così l’anima vi gode tutta la pienezza della luce divina. E questa luce con la corrispondenza dell’anima si va sempre aumentando, fino a diventare tutta luce; ma se poi fa diversamente, la luce vi entra dalle fessure e nell’anima tutto è tenebre.
Figlia mia, [a] chi mi dà tutto, do tutto; onde la mia grazia, non essendo capace l’anima di ricevere tutto insieme il mio Essere, vi prende tante immagini intorno all’anima, quante sono le perfezioni e virtù mie. Quindi vi prende l’immagine della bellezza e vi comunica la luce della bellezza nell’anima, l’immagine della sapienza e comunica la luce della sapienza, l’immagine della bon­tà e comunica la bontà; l’immagine della santità, della giustizia, della fortezza, della potenza, della purità, e vi comunica la luce della santità, della giustizia, fortezza, potenza e purità, e così di tutto il resto; sicché l’anima è tempestata non da un sole, ma da tanti soli quante sono le mie perfezioni. E queste immagini vi sono intorno ad ogni anima; solo che per chi sta aperta e vi corrisponde stanno tutte in attività, lavorando; per chi no, vi stanno come addormentate per quelle anime, sicché o poco o niente possono adoperare la loro attività”.
Agosto 22, 1905   (126)
Trovandomi nel solito mio stato, quando appena è ve­nuto il mio adorabile Gesù e mi ha trasportato fuori di me stessa e mi partecipava le sue sofferenze, e poi mi ha detto:
“Figlia mia, quando due persone si dividono insieme il peso di un lavoro, insieme dividono la mercede che hanno di quel lavoro, e l’uno e l’altro possono far bene a chi vogliono con quella mercede. Onde dividendo tu con me il peso delle mie sofferenze, cioè il lavoro della mia redenzione, vieni a partecipare al guadagno del lavoro della redenzione; ed essendo divisa tra me e te la mercede delle nostre pene, [come] io posso far bene a chi voglio in generale ed anche in modo speciale, così tu sei libera di far bene a chi vuoi, della mercede che a te spetta. Ecco il guadagno di chi divide con me le mie pene, che solo è concesso allo stato di vittima, ed il guadagno di chi gli sta più da vicino[66], ché stando vicino, più facilmente partecipano ai beni che uno possiede. Perciò figlia mia, rallegrati quando più ti partecipo le mie pene, che più grande sarà la porzione della tua mercede”.
Agosto 23, 1905   (127)
Continuando il mio solito stato, il mio benedetto Gesù mi ha detto:
“Figlia mia, se l’anima fa tutto per me imita quelle piccole farfalle che girano e rigirano intorno ad una fiamma e rimangono estinte in quella stessa fiamma. Così l’anima, a seconda il profumo delle sue azioni, dei suoi movimenti e desideri [che] offre a me, così l’anima[67] mi gira d’intorno, or agli occhi, or al volto, or alle mani, or al cuore; a seconda le diverse offerte che mi va facendo, e col suo continuo girare intorno a me, rimane tutta estinta nella fiamma del mio amore, senza toccare le fiam­me del purgatorio”.
Poi è scomparso, ed essendo ritornato ha soggiunto:
“Il pensare a sé stesso è lo stesso che uscire da Dio e ritornare a vivere in sé stesso. Poi il pensare a sé stesso non è mai virtù, ma sempre vizio, fosse pure sotto aspetto di bene”.
Agosto 25, 1905   (128)
Questa mattina nel venire il benedetto Gesù mi ha detto:
“Figlia mia, l’anima deve soggiornare nel mio cuore, e le stesse virtù, deve fare in modo che le radici stiano nel mio cuore e svolgerle nel cuor suo; altrimenti ci può avere le virtù naturali oppure di simpatia, le quali si chiamano virtù a tempo e a circostanze, e sono mutabili; mentre le virtù che la radice è fissa nel mio cuore e svolta nell’anima, sono stabili e si adattano a tutti i tempi ed a tutte le circostanze e sono eguali per tutti. Invece quelle altre no, ed avviene che si sentono una carità illimitata per una persona, ossia ad un tempo sono tutto fuoco, fanno dei veri sacrifizi, vorrebbero mettere la vita; se ne presenta un’altra, se occorre più bisognosa della prima, in un momento si cambia la scena, si fanno di gelo, neppure vogliono fare il sacrifizio né di sentire né di dire una parola, sono svogliati e ne la[68] rimandano esacerbata, indispettita. È forse questa carità che la radice è fissa nel mio cuore? No certo, anzi è carità viziosa, tutta umana e di simpatia, che ad un momento pare che fiorisce, ad un altro momento secca e sparisce.
Un’altra è ubbidiente ad una persona, sottomessa, umile, si fa un cencio, in modo che quella persona può farne ciò che vuole; ad un’altra è disubbidiente, ricalcitrante, superba;. È questa ubbidienza che esce dal mio cuore, che ubbidii a tutti, fino agli stessi carnefici? No, certo.
Un altro è paziente in certe occasioni, fosse[ro] pure sofferenze serie, pare un agnello che neppure apre la bocca per lamentarsi; ad un’altra sofferenza, forse più piccola, monta in furia, si irrita, impreca. È questa forse la pazienza che la radice è fissa nel mio cuore? No, certo.
Un’altra, un giorno è tutta fervorosa, prega sempre, fino a trasgredire i doveri del proprio stato; un altro giorno ha ricevuto un incontro un po’ dispiacente, si sente fredda, abbandona affatto la preghiera fino a trasgredire i doveri d’una cristiana, le preghiere d’obbligo. È forse lo spirito mio di preghiera questo, che giunsi fino a sudar sangue, a sentirmi l’agonia della morte, e pure non tralasciai un sol momento la preghiera? No, certo; e così di tutte le altre virtù. Solo le virtù che sono radicate nel mio cuore ed innestate nell’anima, sono stabili e fanno permanenza e risplendono piene di luce; le altre, mentre compariscono virtù sono vizi, compariscono luce e sono tenebre”.
Detto ciò è scomparso, e continuando a desiderarlo è ritornato ed ha soggiunto:
“L’anima che mi desidera sempre s’imbeve di me continuamente, ed io sentendomi imbevuto dall’anima m’imbevo [del]l’anima in modo che dovunque mi volgo la trovo coi suoi desideri e la tocco continuamente”.
Agosto 28, 1905   (129)
Questa mattina il mio adorabile Gesù nel venire mi faceva vedere il suo amabilissimo cuore, e da dentro vi uscivano come tanti fili lucenti d’oro, d’argento, rossi, e pareva che formavano una rete; e filo per filo legava tutti i cuori umani. Io sono rimasta incantata nel vedere ciò, e lui mi ha detto:
“Figlia mia, il mio cuore si lega con questi fili tutti gli affetti, i desideri, i palpiti, l’amore, e fin la stessa vita dei cuori umani, in tutto simili al mio cuore umano, solo diverso nella santità. Ed avendoli legati, dal cielo a seconda che si muovono i desideri miei, il filo dei desideri eccita i desideri loro; se si muovono gli affetti, il filo degli affetti muove gli affetti loro; se amo, il filo del­l’amore eccita l’amor loro, ed il filo della mia vita dà loro la vita. Oh, che armonia tra il cielo e la terra, tra il mio cuore ed i cuori umani! Ma questo l’avvertono solo chi mi corrisponde; ma chi ripugna coll’efficacia della loro volontà, niente avvertono e mandano a vuoto le operazioni del mio cuore umano”.
Continuando il mio solito stato, il mio adorabile Gesù mi faceva vedere la sua Sacratissima Umanità, tutte le sue piaghe, le sue pene; e da dentro le sue piaghe, fin dalle sue gocce di sangue, uscivano tanti rami carichi di frutti e fiori, e pareva che mi comunicava le sue sofferenze e tutti i suoi rami carichi di fiori e frutti. Io sono rimasta meravigliata nel vedere la bontà di Nostro Signore che mi partecipava tutti i suoi beni, senza escludermi di niente, di tutto ciò che lui conteneva; ed il benedetto [Gesù] mi ha detto:
“Figlia diletta mia, non ti meravigliare di ciò che vedi, perché non sei sola o unica, perché in tutti i tempi vi ho tenuto le anime, che[69] per quanto può una creatura, in qualche modo perfettamente potesse[70] ricevere lo scopo della mia creazione, redenzione e santificazione, e potesse la creatura ricevere tutti i beni per cui l’ho creato[71], redento e santificato. Altrimenti se io non avessi, in ogni tempo, fosse pure una sola [creatura], si renderebbe frustranea[72] tutta la mia opera, almeno per qualche tempo. Questo è ordine della mia provvidenza, della mia giustizia e del mio amore, che in ogni tempo vi tenessi almeno una sola che io potessi parteciparle tutti i beni, e che la creatura mi desse tutto ciò che mi deve come creatura; altrimenti a che pro mantenere il mondo? In un momento lo sconquasserei.
E perciò appunto mi scelgo le anime vittime, che come la divina giustizia trovò in me tutto ciò che dovrebbe trovare in tutte le creature e mi partecipò tutti insieme i beni che avrebbe partecipato a tutte le creature, in modo che la mia Umanità conteneva tutto, così nelle vittime trovo tutto in loro, e a loro partecipo tutti i miei beni.
Nel tempo della mia passione vi ebbi la mia carissima Madre, che mentre le partecipavo tutte le mie pene e tutti i miei beni, essa come creatura era attentissima a radunare in sé tutto ciò che mi avrebbero fatto le creature; quindi io trovavo in lei tutta la mia soddisfazione e tutta la gratitudine, il ringraziamento, la lode, la riparazione, la corrispondenza che dovevo trovare in tutti gli altri. Poi veniva la Maddalena, Giovanni, e così in tutti i tempi della Chiesa. Onde per fare che dette anime mi fossero più gradite e potessi sentirmi tirato a dar loro tutto, le prevengo prima e poi nobilito loro l’anima, il corpo, il tratto e fin la voce, in modo che una sola parola ha tanta forza, è tanto graziosa, dolce, penetrante, che tutto mi commuove e m’intenerisce, mi cambia; e dico: ‘Ah, è questa la voce della mia diletta, non posso fare a meno di ascoltarla, sarebbe come se volessi negare a me stesso ciò che vuole! Se non debbo ascoltarla mi conviene toglierle la volontà di farla parlare, ma mandarla vuota non mai’.
Sicché tra essa e me passa tale elettricità d’unione, che l’anima stessa non tutto può comprendere in questa vita, sebbene lo comprenderà con tutta chiarezza nell’al­tra”.
Questa mattina dopo aver molto stentato, vedevo Nostro Signore crocifisso, ed io stavo baciando le piaghe delle sue mani e riparando e pregando che santificasse, perfezionasse, purificasse tutte le opere umane per amor di quanto aveva sofferto nelle sue santissime mani; ed il benedetto Gesù mi ha detto:
“Figlia mia, le opere che più inaspriscono le mie mani e che più mi amareggiano ed allargano le mie piaghe, sono le opere buone fatte con disattenzione, perché la disattenzione toglie la vita all’opera buona, e le cose che non hanno vita sono sempre prossime a marcire; quindi a me mi fanno nausea, ed all’occhio umano è più scandalo l’opera buona fatta senza attenzione che lo stesso peccato, poiché il peccato si sa ch’è tenebre, e non è maraviglia che le tenebre non danno luce, ma l’opera buona ch’è luce e dà tenebre, offende tanto l’occhio umano che non sa più dove trovare la luce; e quindi trova un ingombro nella via del bene”.
Trovandomi nel solito mio stato, quando appena è venuto il benedetto Gesù mi ha detto:
“Figlia mia, la vera carità è quando facendo il bene al prossimo, lo [si] fa perché è mia immagine. Tutta la carità che esce da questo ambiente non si può dire carità; se l’anima vuole il merito della carità, non deve mai uscire da questo ambiente di riguardare in tutto la mia immagine. [È] tanto vero che sta in questo la vera carità, che la stessa carità mia non esce mai da questo ambiente. Tanto amo la creatura perché immagine mia, e se col peccato deforma questa immagine mia, non mi sento più d’amarla, anzi l’aborrisco; e tanto conservo le piante, gli animali, perché servono alle mie immagini; e la creatura deve modificare tutta sé stessa all’esempio del suo Creatore”.
Essendo stata molto sofferente per la privazione del mio dolcissimo Gesù, questa mattina, giorno dei dolori di Maria Santissima, dopo avere in qualche modo stentato, è venuto e mi ha detto:
“Figlia mia, che vuoi che tanto mi brami?”
Ed io: “Signore, quello che tenete per voi, quello bramo per me”.
Ed lui: “Figlia mia, per me tengo spine, chiodi e croce”.
Ed io: “Ebbene, quello voglio per me”. E mi ha dato la sua corona di spine, e mi partecipava i dolori della croce, e dopo ha soggiunto:
“Tutti possono partecipare ai meriti ed ai beni che fruttificavano i dolori in mia Madre. Chi anticipatamente si mette nelle mani della provvidenza, offrendosi a patire qualunque sorta di pene, miserie, malattie, calunnie e tutto ciò che il Signore disporrà sopra di essa, viene a partecipare al primo dolore della profezia di Simeone. Chi attualmente si trova nelle sofferenze e sta rassegnato e si tiene più stretto con me, non mi offende, è come mi salvasse dalle mani di Erode, e sano e salvo mi custodisce nell’Egitto del suo cuore, e quindi partecipa al secondo dolore. Chi si trova abbattuta di animo, arida e priva della mia presenza, e sta salda e fedele ai suoi soliti esercizi, anzi prende occasione come amarmi e cercarmi di più senza stancarsi, viene a partecipare ai meriti e beni che acquistò la mia Madre nel mio smarrimento. Chi in qualunque occasione si trova, specie di vedermi offendere gravemente, disprezzato, calpestato, e cerca di ripararmi, di compatirmi e di pregare per quegli stessi che mi offendono, è come se incontrassi in quell’anima la mia stessa Madre, che se avesse potuto mi liberava dai miei nemici; e vi partecipa al quarto dolore. Chi crocifigge i suoi sensi per amore della mia crocifissione e cerca di ricopiare in sé le virtù della mia crocifissione, vi partecipa al quinto. Chi sta in continua attitudine d’adorare, di baciare le mie piaghe, di riparazione, di ringraziamento ed altro, a nome di tutto l’uman genere, è come se mi tenesse nelle sue braccia come mi tenne la Madre mia quando fui deposto dalla croce, e vi partecipa al sesto dolore. Chi si mantiene in grazia mia e vi corrisponde, e non dà a nessun altro ricetto nel proprio cuore che a me solo, è come mi seppellisse nel centro del cuore, e vi partecipa al settimo”.
Ottobre 10, 1905   (134)
Stando molto afflitta per gli stenti che il benedetto Gesù mi fa soffrire nell’aspettarlo, questa mattina nel farsi vedere appena, mi ha detto:
“Figlia mia, mi dispiace il tuo dispiacere e il vederti come immersa in amara afflizione per la mia privazione. Sento tanta pena della tua afflizione, specie che è per causa mia, che la sento come se fosse mia propria; ed è tanto grande, che se si uniscono insieme tutte le afflizioni degli altri, non mi farebbero tanta pena come la tua sola, perché è sola[73] per causa mia. Perciò mostrami il tuo volto ilare e fammi vedere che sei contenta”.
Poi si è stretto forte con me ed ha soggiunto:
“Il segno che l’anima è perfettamente stretta ed unita con me, [è] se è riunita con tutti i prossimi. Come nessuna nota scordante, e frammischiate, deve esistere con quelli che sono in terra visibili, così nessuna nota scordante di disunione può esistere coll’invisibile Iddio”.
Ottobre 12, 1905   (135)
Continuando il mio solito stato, quando appena è venuto il benedetto Gesù mi ha detto:
“Figlia mia, la conoscenza di sé stessa vuota l’anima di sé stessa e la riempie di Dio; non solo, nell’anima ci sono tanti ripostigli, e tutto ciò che nel mondo si vede, a seconda il concetto che [l’anima] si forma, così, chi più, chi meno, prendono posto in questi ripostigli.
Ora l’anima che conosce sé stessa ed è ripiena di Dio, conoscendo che essa è un nulla, anzi [conoscendosi] per un vaso fragile, marcioso, puzzolente, ben si guarda di fare entrare nel suo interno altro marciume fetente, quali sono le cose che nel mondo si veggono. Sarebbe ben pazzo colui che avendo una piaga marciosa va radunando altro marciume per metterlo sulla sua piaga.
Ora conoscere sé stessa porta con sé la conoscenza delle cose del mondo, quindi come tutto è vanità, fugacità, beni solo mascherati, inganni, incostanza di creatura; onde conoscendo quali sono le cose in sé stesse, ben si guarda dal farle entrare in sé stessa, e tutti quei ripostigli vi restano ripieni delle virtù di Dio”.
Ottobre 16, 1905   (136)
Avendo letto un libro che trattava delle virtù, guardando me stessa stavo impensierita ché non vedevo in me nessuna virtù; se non fosse solo che voglio amarlo, lo voglio, vi[74] amo e voglio essere amata da Gesù benedetto, niente, niente esisteva in me di Dio. Or trovandomi nel solito mio stato, il mio adorabile Gesù mi ha detto:
“Figlia mia, quanto più l’anima giunge al termine per avvicinarsi alla fonte d’ogni bene qual è il vero e perfetto amore di Dio, dove tutto resterà sommerso e solo l’amore galleggerà per essere il motore di tutto, così l’a­nima sperderà tutte le virtù che ha praticato per il viaggio, per rinchiudere tutto nell’amore e riposarsi di tutto per solo amare. Non vi sperdono tutto i beati nel cielo per solo amore? Così l’anima, più cammina, meno sente il diverso lavorio delle virtù, perché l’amore investendole tutte, le converte tutte in sé, tenendole in sé stesso a riposo come tante nobili principesse, lavorando lui solo e dandole vita a tutte. E mentre l’anima non le avverte, nell’amore le trova tutte, ma però più belle, più pure, più perfette, più nobilitate; e se l’anima lo[75] avverte è segno che sono divise dall’amore.
Come per esempio: uno riceve un comando e l’anima esercita l’ubbidienza per ubbidire a quel tale, per acquistare la virtù, per sacrificare la volontà propria, e tant’altre ragioni che ci possono essere; ora facendo così già si avverte che si esercita l’ubbidienza, si sente la fatica, il sacrifizio che porta con sé questa virtù. Un’altra ubbidisce, non per ubbidire a quel tale né per altre ragioni, ma conoscendo che Iddio si dispiacerebbe della sua disubbidienza, guarda Dio in quel che comanda e per amor suo sacrifica tutto ed ubbidisce. L’anima non avverte, in questo, che obbedisce, ma solo che ama, perché solo per amore ha ubbidito; altrimenti avrebbe disubbidito lo stesso; e così di tutto il resto.
Quindi coraggio al cammino, che quanto più si cammina, tanto più presto anche di qua pregusterai la beatitudine eterna del solo e vero amore”.
Ottobre 18, 1905   (137)
Questa mattina trovandomi nel solito mio stato, è venuto Gesù tutto all’improvviso e mi ha detto:
“Figlia mia, che stoltezza! Anche nelle cose sante pensano come contentare sé stessi. Se nelle cose sante mi fanno sfuggire, dove io troverò un posto nelle azioni delle mie creature? Che inganno!, mentre il tutto sta nel prevenire le azioni dell’amore, nell’eseguirle, radunare quante più cose può per accrescere l’amore, e starsi tanto vicino a me per bere alla sorgente del mio amore, per immergersi tutto nel mio amore. Eppure, che abbaglio! Fanno tutto diversamente”.
Detto ciò è scomparso.
Ottobre 20, 1905   (138)
Trovandomi nel solito mio stato, dopo avere molto stentato, quando appena è venuto il benedetto Gesù, qua­si in atto di mandare flagelli, mi ha detto:
“Figlia mia, il peccato è fuoco, la mia giustizia è fuoco. Or dovendo la mia giustizia mantenersi sempre uguale, sempre giusta nel suo operare e non ricevere in sé nessun fuoco profano, quando il fuoco del peccato vuole unirsi al suo, lo versa sulla terra convertendolo in fuoco di castigo”.
Ottobre 24, 1905   (139)
Considerando la mia miseria, la debolezza della natura umana, mi sentivo d’essere un oggetto tanto abominevole a me stessa, ed immaginavo come più sono abominevole innanzi a Dio, e dicevo tra me: “Signore, come si è fatta brutta la natura umana!” Or venendo, quando appena mi ha detto:
“Figlia mia, niente è uscito dalle mie mani che non sia buono, anzi ho creato la natura umana bella e speciosa, e se l’anima la vede fangosa, marciosa, debole, abominevole, questo serve alla natura umana come serve il letame alla terra, che chi non capisce il tutto direbbe: ‘Pazzo è costui che imbratta il terreno di queste lordure’, mentre chi capisce sa che quelle lordure servono a fecondare la terra, a far crescere le piante e rendere più belle e saporite le frutta. Onde ho creato l’umana natura con queste miserie[76] per riordinare in essa l’ordine di tutte le virtù, altrimenti resterebbe senza esercizio di vere virtù”.
Onde vedevo nella mia mente l’umana natura come se fosse tutta piena di buchi, ed in questi buchi si stava la marcia, il fango, e da dentro vi uscivano rami carichi di fiori e frutti. Quindi comprendevo che il tutto sta all’uso che ne facciamo, anche delle stesse miserie.
Novembre 2, 1905   (140)
Trovandomi nel solito mio stato, stavo molto afflitta per la privazione del mio adorabile Gesù, e stavo dicendo: “Ah, Signore, io non voglio altro che te, non altro contento io trovo che in te solo, e tu mi hai lasciato così crudelmente?” Mentre ciò dicevo, è uscito da dentro il mio interno e mi ha detto:
“Ah, così è, io solo sono il tuo contento! Ed io trovo tutto il mio contento in te; sicché se non avessi altro, tu sola mi renderesti felice. Figlia mia, un po’ di pazienza finché incominciano le guerre, che poi ci metteremo in ordine come prima”.
Ed io, senza sapere che cosa dicevo io stessa, ho detto: “Signore, fatele incominciare”. Ma subito ho soggiunto: “Signore, ho sbagliato”.
E lui: “La tua volontà dev’essere la mia, niente devi volere ancorché fosse cosa santa, che non sia uniforme alla mia Volontà. Nel giro della mia Volontà voglio che tu giri sempre, senza uscirne un istante, per poterti rendere padrona di me stesso. Voglio io la guerra? Anche tu. E [al]l’anima che si comporta in questo modo, io vi faccio del mio Essere un circolo intorno ad essa, in modo da farla vivere di me ed in me”.
Ed è scomparso.
Novembre 6, 1905   (141)
Pensando alla passione di Nostro Signore dicevo tra me stessa: “Quanto vorrei entrare nell’interno di Gesù Cristo per poter vedere tutto ciò che lui faceva e per vedere ciò che più gradiva al suo cuore, per poterlo fare anch’io e mitigare le sue pene coll’offrirgli ciò che più gradiva!” Mentre ciò dicevo, il benedetto Gesù muovendosi nel mio interno mi ha detto:
“Figlia mia, il mio interno era occupato, in quelle pene, principalmente a compiacere in tutto e per tutti il mio caro Padre, e poi la redenzione delle anime; e la cosa che più gradiva il mio cuore era il vedere il compiacimento che mi mostrava il Padre vedendomi tanto soffrire per amor suo, in modo che tutto radunava in sé, neppure un fiato, un sospiro andò disperso, ma tutto rac­colse per potersi compiacere e mostrarmi il suo compiacimento. Ed io ero tanto soddisfatto di questo, che se non avessi altro, il solo compiacimento del Padre mi bastava a rendermi soddisfatto di ciò che pativo; mentre da parte delle creature, molto, molto della mia passione andò disperso. E tanto era il compiacimento del Padre, che a torrenti versava nella mia Umanità i tesori della Divinità. Perciò accompagna la mia passione in questo modo, che mi darai molto gusto”.
Novembre 8, 1905   (142)
Avendo molto stentato, quando appena è venuto mi ha detto:
“Figlia mia, all’anima che si rassegna alla mia Volontà succede come a quel tale che avvicinandosi a vedere un bel cibo sente il desiderio di mangiarlo, ed eccitandosi il desiderio passa a gustare quel cibo e trasmutarlo nella sua carne e nel suo sangue. Se non avesse visto il bel cibo non poteva venire il desiderio, non poteva sentire il gusto, e ne seguiva col rimanersi[77] digiuno.
Ora così è la rassegnazione all’anima[78]: mentre si rassegna, nello stesso rassegnarsi vi scorge una luce divina e questa luce snebbia ciò che impedisce di vedere Dio; e vedendolo desidera di gustare Dio, e mentre lo gusta sente come se lo mangiasse, in modo che se lo sente tutto trasmutato in sé lo stesso Dio. Onde ne segue che il primo passo è il rassegnarsi, il secondo è il desiderio di fare in tutto la Volontà di Dio, il terzo farne suo cibo prelibato quotidianamente, il quarto è consumare la Volontà di Dio nella sua. Ma se non fa il primo passo, vi resterà digiuno di Dio”.
Continuando il mio solito stato, quando appena è venuto il benedetto Gesù mi ha detto:
“Figlia mia, quando la creatura opera il bene, parte da essa una luce che va al Creatore, e questa luce dà gloria al Creatore della luce ed abbellisce d’una bellezza divina l’anima”.
Poi vedevo il confessore che prendeva il libro da me scritto per leggerlo, ed insieme stava Nostro Signore che diceva:
“La mia parola è pioggia, e come la pioggia feconda la terra, così il segno per conoscere se ciò che sta scritto in questo libro è pioggia della mia parola, [è] se è parola feconda che germina virtù”.
Continuando il mio solito stato, stavo pensando alla passione di Gesù benedetto; e facendosi vedere crocifisso mi partecipava un poco dei suoi dolori, dicendomi:
“Figlia mia, volli essere crocifisso ed innalzato in cro­ce per fare che le anime, a seconda che[79] mi vogliano, mi trovino. Sicché uno mi vuole maestro ché sente la necessità di essere ammaestrato, ed io mi abbasso ad insegnargli, tanto le cose piccole quanto le più alte e sublimi, da farlo il più dotto. Un altro geme nell’abbandono, nell’oblio, vorrebbe trovare un padre, viene ai piedi della mia croce ed io mi faccio padre, dandogli l’abitazione nelle mie piaghe, per bevanda il mio sangue, per cibo le mie carni e per eredità il mio stesso regno. Quell’altro è infermo e già mi trova medico, che non solo lo guarisco, ma gli do i rimedi sicuri per non più cadere nelle infermità. Quest’altro è oppresso da calunnie, da disprezzi: ai piedi della mia croce trova il suo difensore, fino a restituirgli le calunnie, i disprezzi, in onori divini; così di tutto il resto. Sicché chi mi vuole giudice mi trova giudice; chi amico, chi sposo, chi avvocato, chi sacerdote, tale mi trovano.
Perciò volli essere inchiodato mani e piedi, per non oppormi a nulla di ciò che vogliono, per farmi come mi vogliono; ma guai [a] chi vedendo che io non posso muovermi neppure un dito, ardiscono d’offendermi”.
Mentre ciò diceva, ho detto: “Signore, chi sono quelli che più vi offendono?” E lui ha soggiunto:
“Quelli che mi danno più da soffrire sono i religiosi, i quali vivendo nella mia Umanità mi tormentano e mi lacerano le mie carni nella mia stessa Umanità; mentre chi vive da fuori della mia Umanità, mi lacera da lontano”.
Gennaio 6, 1906   (145)
Continuando il mio solito stato, quando appena è venuto il mio benedetto Gesù, e nell’atto che stavo pregando, tutta stringendomi mi ha detto:
“Figlia mia, la preghiera è musica al mio udito, specialmente quando un’anima è tutta uniformata alla mia Volontà, in modo che non si scorge in tutto il suo interno che una continua attitudine di vita di Volontà Divina. [Da] quest’anima è come se uscisse un altro Dio e mi facesse questa musica. Oh, come è dilettevole, trovando chi mi rende la pariglia e può rendermi gli onori divini! Solo chi vive nel mio Volere può giungere a tanto, ché tutto il resto delle anime, ancorché facessero e pregassero molto, saranno sempre cose e preghiere umane che faranno, non già divine; quindi non avranno quella potenza e quell’attrattiva al mio udito”.
Gennaio 14, 1906   (146)
Trovandomi nel solito mio stato, quando appena è ve­nuto il benedetto Gesù, mi ha detto:
“Figlia mia, io non son contento quando escono dal­l’anima barlumi di luce, ma voglio che sia luce il pensiero, luce la parola, luce il desiderio, luce le opere, luce i passi, e queste luci unite insieme formino un sole, ed in questo sole viene formata tutta la mia immagine. E questo succede quando [l’anima] fa tutto tutto per me: diventa tutta luce. E siccome chi vuole entrare dentro la luce solare non trova ostacolo di potervi entrare, così io non trovo ostacolo in questo sole che la creatura ha formato di tutto il suo essere. Invece chi non è tutta luce, ci trovo molti impedimenti per formare la mia immagine”.
Gennaio 16, 1906   (147)
Continuando il mio solito stato, per poco è venuto il mio benedetto Gesù e mi ha detto:
“Alla verità nessuno può resistere, né l’uomo può dire che non è verità; per quanto cattivo e stupido, non può dire uno che il bianco è nero e che il nero è bianco, che la luce è tenebre e che le tenebre sono luce; solo che chi l’ama, l’abbraccia e la mette in opera e chi non l’ama ne resta conturbato e tormentato”.
E come lampo è scomparso, e dopo poco è ritornato ed ha soggiunto:
“Figlia mia, chi vive nell’ambiente della mia Volontà sta a[80] porto di tutte le ricchezze, e chi vive fuori di questo ambiente della mia Volontà sta a porto di tutte le miserie; perciò si dice nel Vangelo che a chi tiene sarà dato e a chi non tiene sarà tolto quel poco che tiene, perché chi vive nella mia Volontà, stando a porto di tutte le ricchezze non è maraviglia che si andrà sempre più arricchendo di tutti i beni, perché vive in me come nella propria casa, ed io tenendolo in me sarò forse avaro? Non andrò di giorno in giorno, or dandole un favore, or un altro, e mai cesserò di darle fino a tanto che non l’a­vrò partecipato[81] di tutti i miei beni? Sì, certo. Invece chi vive a porto delle miserie, fuori della mia Volontà, già per sé stessa la propria volontà è la più grande delle miserie e distruggitrice d’ogni bene; che maraviglia dunque che se tiene qualche poco di bene, non avendo contatto con la mia Volontà, e vedendolo inutile in quell’a­nima, le venga tolto?”









[1] a
[2] in cui
[3] rimasta
[4] manda
[5] sa
[6] ma
[7]
[8] dal
[9] nella cosa in che, cioè: la cosa in cui
[10] prometto che, cioè: prometto
[11] si mettesse di nuovo in, cioè: sia aperta di nuovo al
[12] si avrebbe ottenuto, cioè: si sarebbe ottenuta la riapertura al culto
[13] mi sentivo
[14] sarà minacciata
[15] se ne sia profittata, cioè: ne abbia profittato
[16] lentamente
[17] fatto
[18] Abbiate
[19] rimasta
[20] ogni
[21] gettare
[22] un altro, cioè: molto peggio
[23] dosi
[24] l’anima
[25] lima sorda, cioè: dolore nascosto, ma tenace e profondo
[26] il segno è che, cioè: è il segno che
[27] e difficilmente, cioè: difficilmente
[28] per cui
[29] del
[30] ma non, cioè: non
[31] a cercare
[32] in cui
[33] in cui
[34] con i quali
[35] sua
[36] ritrarre
[37] in sé stessa, cioè. in lei
[38] connesso, cioè: alla connessione
[39] tutte
[40] che in male stato, cioè: in quale cattivo stato
[41] che l’era, cioè: al quale era stata
[42] forse: suo
[43] secondo che, cioè: a seconda di come
[44] visitatore apostolico: prelato designato dalla Santa Sede a compiere un’ispezione a una diocesi o a un’istituzione ecclesiastica
[45] mancava
[46] se lo riceve, cioè: lo accetta
[47] che ci fare, cioè: a che fare
[48] Con tutto ciò che avrebbe, cioè: Nonostante avesse
[49] ad
[50] o indifferente, cioè: con indifferenza
[51] mi sono trascinata
[52] a loro
[53] suo
[54] la
[55] piace
[56] diventano figli, cioè: diventa figlio
[57] giunge
[58] nel
[59] che
[60] rende tutta spostata, forse: rendono tutta spossata
[61] che produce l’incostanza, cioè: che l’incostanza produce
[62] ho
[63] concede
[64] al suo stato è commesso a chi, cioè: sono connessi allo stato di chi
[65] la rende, cioè: rende l’anima
[66] chi gli sta più da vicino, cioè: coloro che stanno più vicino a queste anime
[67] così l’anima, cioè: essa
[68] ne la, cioè: la
[69] dalle quali
[70] potessi
[71] l’ho creato, cioè: ho creato l’uomo
[72] inutile, dal latino: frustra
[73] solo
[74] lo
[75] le
[76] queste miserie: cioè: questi vuoti
[77] col rimanersi, cioè: il rimanere
[78] all’anima, cioè: per l’anima
[79] di come
[80] nel
[81] resa partecipe

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